La Costituzione della Repubblica Italiana recita all'Art. 9:
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

domenica 11 settembre 2011

Manco una roulotte al povero lucumone sfrattato…


Stefano Tesi, Alta fedeltà, 11.09.11

A San Casciano Val di Pesa, in Toscana, pare che alla chetichella si vogliano distruggere importanti vestigia etrusche per costruire una fabbrica di camper. Comune e impresa d’accordo, cittadini in subbuglio. Possibile che lo stabilimento si possa fare solo lì?

Si dice che la verità sta sempre in mezzo, o almeno mai da una parte sola. E nemmeno in questo caso abbiamo motivo di dubitare che ambedue i contendenti abbiano, nello specifico, buoni argomenti.
Ma è il principio che non ci piace.
La storia è semplice e nemmeno nuova, visto che si trascina da un decennio, lasciata però sospettamente procedere sotto traccia in un silenzio ufficiale a cui qualche acuto mediatico non può certo far da contraltare. E quando il silenzio diventa la clava delle pubbliche amministrazioni, c’è sempre qualcosa che non torna.
Fattostà che in territorio di San Casciano Val di Pesa, nel Chianti insomma, è in programma la costruzione, regolarmente autorizzata, di un grande capannone industriale destinato ad accogliere lo stabilimento di un’azienda che produce roulotte. Il tutto è sancito da un accordo tra il comune e la multinazionale proprietaria della casa costruttrice di van, con relative autorizzazioni.
Fin qui, tutto ok.
Il problema è che sottoterra, esattamente nel punto in cui deve sorgere lo stabilimento, ci sono i resti di un fabbricato etrusco e di una villa romana, venuti alla luce durante gli scavi di fondazione.
A questo punto che succede? Si bloccano i lavori? Si vincola il terreno? Si procede a ricerche archeologiche?
Macchè: il comune, a spese proprie, pensa anzi di demolire in fretta e furia le antiche ma fastidiose rovine (lo affermano almeno qui i comitati e associazioni locali contrari all’operazione), con l’idea bislacca di ricostruirle altrove. Insomma: non solo le distruggono, ma pensano di creare un falso storico e architettonico.
Da qui gli appelli lanciati dai detti comitati alla Direzione regionale per i beni artistici, alla Soprintendenza archeologica della Toscana e alla Regione affinchè intervengano e consentano se non altro l’apertura di un dialogo tra le parti.
Quale sia la versione ufficiale del comune e della multinazionale non è ancora dato sapere, ma non è questo ciò che conta.
Nè conta, secondo noi, l’osservazione che il settore camperistico è in crisi e che quindi il momento economico non giustifichi la costruzione di nuovi stabilimenti, nè che l’allocazione degli stessi possa essere più utilmente individuata altrove. E neppure che l’operazione nasconda, come qualcuno adombra, più lontane mire speculative in un’area di grande valore naturalistico e paesaggistico (oltre che, con ogni evidenza, archeologico).
Il punto è a mio avviso anteriore e di carattere generale.
Ovvero: in un paese dalle importantissime risorse culturali come l’Italia, dove la stratificazione storica è sistematica e ha fatalmente generato un patrimonio irripetibile di resti e vestigia, è possibile che la stessa eventualità di un ritrovamento non sia una condizione necessaria e sufficiente a bloccare e ad impedire nuovi insediamenti, qualunque sia la loro natura?
Certo, è un costo. Che deve assumersi la comunità, cioè tutti noi, per preservare un patrimonio comune. Un costo di studio preventivo, di ricerca, di possibile valorizzazione e tutela. E indubbiamente anche di risarcimento, perchè chi legittimamente ha un diritto a costruire reso impossibile da un evento sopravvenuto come un ritrovamento archeologico, va ripagato integralmente del danno che subisce e delle spese che sopporta. A me pare solare.
Invece no, non è così. Ogni volta che si scopre qualcosa devono aprirsi interminabili conflitti tra chi vuole sbarazzarsene e chi vuole studiare e conservare, dando vita a contrasti che durano anni e provocano ritardi, collusioni, danni economici e labirinti giudiziari tanto ingiustificabili quanto, soprattutto, insostenibili.
Se invece lo Stato, attraverso la legge, sancisse l’automatica inviolabilità di qualsiasi giacimento, rudere o ritrovamento e al tempo stesso stabilisse l’obbligo di ricerche preventive per chi progetta insediamenti produttivi, oltre a rapidi e congrui risarcimenti, probabilmente da un lato si scoraggerebbero gli scempi e le speculazioni. E dall’altro si convincerebbe la grande parte dell’opinione pubblica che tende a considerare la ricchezza immateriale, il paesaggio, la cultura, l’architettura, il bello come un ostacolo, una inutile seccatura, un impiccio, un fastidio da aggirare, possibilmente evitare, auspicabilmente impedire e perfino prevenire. Ovviamente nel nome del presunto sviluppo economico. Un argomento che spesso sta molto a cuore anche ai sindaci che devono firmare certe autorizzazioni.

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