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La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

lunedì 12 settembre 2011

L’archeopatacca di San Casciano, anche gli Etruschi si spostano in camper


L'Altra Città, 12.09.11
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Alcune domande a proposito delle scoperte archeologiche a San Casciano


Eddyburg, 12.09.11

L'autorevole opinione di Giuliano Volpe, Ordinario di Archeologia e Rettore dell’Università di Foggia, pubblicata su Eddyburg.


Dalla Toscana giungono notizie dell’ennesimo conflitto tra interessi privati e difesa del patrimonio archeologico. E ancora una volta sembra che a soccombere, come spesso accade nel nostro paese, debba essere il patrimonio culturale.
Il caso mi è stato segnalato da alcuni amici toscani, non archeologi, che si sono rivolti a me per un parere, conoscendo il mio impegno nel campo della politica dei beni culturali.

Ho cercato di acquisire informazioni più precise da colleghi archeologi, che, però, ignoravano quasi completamente l’episodio. La massima segretezza sembra avvolgere la vicenda. Le uniche informazioni, reperibili sul web sono fornite da un comunicato stampa e da denunce di varie associazioni ambientaliste, raccolte da alcuni giornali e da vari siti internet. La cosa che sollecita la mia curiosità e presenta, fin da subito, alcuni lati enigmatici è relativa al progetto di rimozione e ricollocazione dei resti archeologici: una procedura, tecnicamente assai problematica, alquanto rara e costosa. Ma procediamo in ordine.

Il sito è posto nel territorio del Comune di San Casciano: qui è stata prevista la costruzione di un capannone da parte della multinazionale Hymer, proprietaria di LAIKA Caravan. Il progetto risale a molti anni fa, addirittura al 1997. Nel corso dei lavori edili sono emersi, nel 2010, resti archeologici riferibili, sulla base dei pochissimi dati al momento disponibili, ad una ‘fattoria’ etrusca e ad una villa romana. Tengo a ribadire che le informazioni in mio possesso sono a questo proposito assai scarse ed è pertanto assai difficile valutare la reale portata storico-archeologica della scoperta. Lo sottolineo, non perché voglia minimamente proporre un’idea selettiva, ormai fortunatamente abbandonata, che privilegi esclusivamente i manufatti di pregio artistico – ogni documento archeologico è unico e prezioso per la ricostruzione storica e per la conoscenza dei paesaggi stratificati – ma solo per comprendere la ratio delle scelte che si stanno effettuando.

Non tocco le questioni relative all’impatto ambientale o al tema del consumo di territorio, che rientrano nelle competenze di altri. Mi limito a porre una serie di domande limitate al tema archeologico, in attesa di poter disporre di informazioni più precise, che, per trasparenza democratica, si spera possano essere fornite alla pubblica opinione, anche per limitare le polemiche spesso alimentato proprio dall’assenza di informazioni.

Come mai, pur essendo trascorso tanto tempo dalla presentazione del progetto, non sono state effettuate indagini di archeologia preventiva, con l’uso dei metodi e delle tecniche e tecnologie (immagini aerofotografiche, prospezioni geofisiche, ricognizioni, ecc.) tipiche dell’archeologia dei paesaggi (che, peraltro, proprio in Toscana conosce livelli di assoluta eccellenza)? In tal modo certamente le tracce archeologiche sarebbero state individuate ancor prima dell’avvio dei lavori edili e sarebbe stato possibile indirizzare diversamente il progetto.
Quale valutazione è stata fatta dei documenti storici e archeologici individuati? Qual è il loro stato di conservazione?
Ma, soprattutto, perché si è adottata la decisione della rimozione e del trasferimento dei resti archeologici? Mi rassicura sapere che l’operazione è stata autorizzata dalla Soprintendenza Archeologica, dalla Direzione Regionale per i beni culturali, dal Comitato tecnico-scientifico del MiBAC. Ma resta l’interrogativo metodologico. Come dicevo, si tratta di una procedura complessa e costosa, che certo l’archeologia conosce bene ma che di solito viene riservata (proprio per la complessità tecnica e l’elevato costo) a scoperte “eccezionali”. Si potrebbero citare molti casi a tal proposito, ma mi limito a ricordare quello dei mosaici policromi di ville e domus romane della città di Zeugma in Turchia, asportati e rimontati nel Museo di Gaziantep con l’intervento munifico del Packard Humanities Institute (PHI), o, in Italia, quello vissuto in prima persona dei mosaici della chiesa paleocristiana del sito rurale di San Giusto (Lucera), asportati nel 1998 e tuttora in attesa di collocazione: in entrambi i casi l’operazione è stata giustificata dalla costruzione di opere pubbliche, nello specifico dighe, rispettivamente necessarie per la produzione di energia e per l’irrigazione delle campagne. Si tratta, peraltro, di interventi condotti molti anni fa, ben prima che si affermassero i metodi dell’archeologia preventiva. I due siti archeologici, dai quali sono stati asportati solo gli ‘elementi di pregio’ (i mosaici, appunto) sono tuttora sommersi dalle acque delle dighe e non si esclude che in un futuro altri archeologi possano riprendere gli scavi.

Nel caso di San Casciano il problema è: i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra? Se sì, allora, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti. La rimozione e la ricollocazione appare, infatti, una risposta alquanto ipocrita, forse utile solo come risposta alle proteste delle associazioni culturali e ambientaliste: che senso avrebbero i moncherini di “pochi muretti” decontestualizzati e collocati, quasi si tratti di elementi di arredo, in un finto parco archeologico? Senza contare i problemi tecnici posti dallo smontaggio di muri (di terra? in conci di pietra tenuti da malta? in cementizio?) di insediamenti rurali di età etrusca e romana, e ovviamente i costi legati all’operazione, che, perlomeno, mi auguro non si preveda di scaricare sugli ormai poveri bilanci degli Enti locali o delle Soprintendenze. Se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storicoarcheologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ.

Comunque vada a finire, ancora una volta saranno le ragioni dell’archeologia e del patrimonio culturale e paesaggistico a soccombere, forse anche a causa di un deficit di pianificazione e di valutazione preventiva, sotto il peso del consueto facile ricatto dell’occupazione e delle ragioni dello sviluppo economico, sostenute, è evidente in questo caso, da forti interessi politico-economici. E ancora una volta in questo eterno assurdo conflitto si cercherà di confermare l’immagine dell’archeologia – cioè di uno dei beni comuni più rilevanti di cui il nostro paese disponga - nemica dello sviluppo.

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Gli Etruschi in roulotte


Riceviamo da Claudio Greppi, del Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Siena e componente della Rete dei Comitati toscani per la tutela del territorio, e pubblichiamo volentieri. E’ un caso emblematico quanto assurdo: si vanno a spostare reperti etrusco-romani per far posto a un capannone per la produzione di roulottes. A San Casciano Val di Pesa (FI), nell’ex virtuosa Toscana. Appena avremo in mano un pizzico di documentazione, espleteremo le più opportune azioni legali.

Gruppo d’Intervento Giuridico, 11.09.11

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Italia Nostra: Toscana, Insediamento Laika di San Casciano


Italia Nostra, 12.09.11
News dal territorio

Gli ambientalisti: i resti archeologici non possono essere spostati

La vicenda dell’insediamento del capannone della Laika caravan nel comune di San Casciano (FI) si complica ulteriormente. Sui terreni individuati sono stati trovati nel 2010 resti archeologici etruschi e romani. Da sempre (la vicenda va avanti da una decina di anni), comitati e associazioni ambientaliste hanno contestato la scelta del sito di localizzazione da parte del comune per il manufatto richiesto dalla multinazionale Hymer (proprietaria di Laika caravan). Terreni agricoli lontani dal distretto della camperistica, alto impatto ambientale e paesistico, scelta non pianificata, azienda in crisi con riduzione della produzione il che non giustifica un’espansione, ribadiscono Rete dei Comitati per la difesa del territorio, Italia nostra Firenze, Legambiente Toscana, Wwf Toscana. «Dopo 7 anni dall’adozione della variante, non un mattone della fabbrica è stato posato, a dimostrazione di come si sarebbe potuto tranquillamente scegliere una localizzazione più adatta e di come l’”urgenza” imprenditoriale nascondesse solo un lucroso investimento immobiliare». Questione di punti di vista qualcuno potrebbe pensare, ma le ultime vicende fanno incrementare gli interrogativi. Durante gli scavi per il capannone sono emersi nell’anno 2010 resti di un fabbricato etrusco e della pars rustica di una villa romana. Secondo quanto riportano gli ambientalisti, l’amministrazione comunale, invece di valorizzare queste testimonianze storiche, imponendo al privato di adeguare l’intervento al mantenimento della stratificazione emersa durante gli scavi, ha fatto propria l’istanza del privato di rimozione dei resti ed interviene, con proprie risorse, per rendere possibile la demolizione di muri e fondazioni e la loro ricostruzione lontano dal perimetro previsto del fabbricato industriale. «Le alternative c’erano- dichiarano Rete dei Comitati per la difesa del territorio, Italia nostra Firenze, Legambiente Toscana, Wwf Toscana- Si poteva ipotizzare uno spostamento dei volumi o una loro riduzione, stante la banalità architettonica del manufatto (un parallelepipedo di metri 300 x 100 x 11m). La traslazione di muri e fondazioni in mattoni e ciottoli non potrà che essere distruttiva e la demolizione dello scavo sicuramente toglierà alla ricerca scientifica la possibilità in futuro di analizzare un insediamento rurale importante per capire gli ordinamenti della campagna in epoca etrusco-romana. Non si tratta di edifici che possano eventualmente essere smontati e rimontati, ma di tracce e resti che hanno senso solo se rimangono nel proprio contesto. Che tutto questo si faccia non per realizzare un’opera di pubblico interesse ma semplicemente per venire incontro alle richieste di un investitore privato suscita perplessità e sconcerto».

A fronte di queste evidenze Rete dei Comitati per la difesa del territorio, Italia Nostra Firenze, Legambiente Toscana, Wwf Toscana lanciano un appello alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali, alla Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, alla Direzione regionale (settore musei ed ecomusei) della Regione toscana, «perché non sia ratificato l’accordo per la rimozione delle strutture archeologiche. In particolare, facciamo appello agli assessorati regionali competenti perché sia possibile aprire un confronto tra gli esperti del settore in vista di un approfondimento scientifico sul sito archeologico, sospendendo temporaneamente ogni decisione» hanno concluso gli ambientalisti.

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