La Costituzione della Repubblica Italiana recita all'Art. 9:
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

venerdì 21 ottobre 2011

Ebbene sì, ha vinto Confindustria. E ora?

Sembra che in Toscana, 26 anni dopo la “legge Galasso”, si sia ancora molto lontani dall’assegnare alla tutela delle qualità del territorio priorità rispetto allo sviluppo del cemento.

di Claudio Greppi, Eddyburg, 21 ottobre 2011


Con il comunicato di ieri del presidente della Regione Enrico Rossi e con l’intervista di oggi su Repubblica di Antonella Mansi, presidente di Confindustria Toscana, la vicenda Laika al Ponterotto passa ad una nuova fase. E’ vero, abbiamo cercato di impedire il trasferimento dei reperti archeologici che per quasi tutti (tranne i responsabili, per l’appunto) è uno scempio senza senso, che ci coprirà di ridicolo. Una soluzione poteva anche essere trovata, lasciando i reperti al loro posto e modificando la planimetria del capannone: ma non ne hanno voluto sapere. Vogliono far presto e bene, come dice spesso Rossi: perderanno un sacco di tempo (e di soldi) e faranno male, diciamo noi.

Tutto ciò ha contribuito a rimettere in luce una vicenda lunga dieci anni, pieni di dubbi e di passaggi poco chiari. Il terreno, agricolo, è stato venduto a prezzo industriale come dice oggi il direttore di Laika De Haas, e ripete il presidente Rossi, oppure no? Circa 20 € al metro quadro, nel 2002, sono tanti o pochi? Quali erano le alternative, se sono state cercate, e se no, perché? E la lunga procedura della valutazione, richiamata dal Sindaco, è stata una cosa seria o una farsa? E le cosiddette mitigazioni, a cui ancora oggi ci si appella, hanno ancora senso, dopo la scoperta dei reperti? E perché non è mai stato fatto un serio rilievo del terreno, quando era il momento? E chi, fra i responsabili ai vari livelli, conosce davvero la consistenza dei ritrovamenti, sui quali non è ancora stata prodotta alcuna relazione? E perché tutta questa segretezza, nel tenere nascoste decisioni già prese più di un anno fa, nell’impedire addirittura la visione dell’area ai “non addetti ai lavori”?

Queste domande resteranno senza risposta, anche se si può dire che se prima se ne parlava solo a San Casciano, ora se ne parla in tutta Italia. Ma partiamo dall’episodio di giovedì 13 ottobre, ben documentato su: http://inchieste.repubblica.it/. Nel corso della preparazione di un servizio sul caso Laika due giornalisti di Repubblica, Francesco Erbani e Mario Neri, si avvicinano con la telecamera per riprendere, dall’esterno, la zona degli scavi più vicina alla strada provinciale, dove stanno lavorando alcuni addetti della Soprintendenza: i quali accorrono subito al cancello del cantiere, intimano ai due giornalisti di andarsene e minacciano l’intervento dei carabinieri. Il tutto in nome del “Codice del Paesaggio”, che dovrebbe, a sentir loro, tutelare la riservatezza degli operatori, anche quando si tratta di beni culturali oggetto di discussioni pubbliche (e di fotografie sui giornali). Un simile trattamento non era certamente stato riservato, solo due giorni prima, ai rappresentanti delle categorie, inclusa Confindustria, invitati dal Sindaco alla presentazione del progetto e alla visita degli scavi. Il Codice non dice niente di simile, ovviamente, ma l’episodio è indicativo di un certo modo di procedere, che d’ora in avanti sarà bene cambiare profondamente.

Il quadrato intorno a Laika, come titolava la settimana scorsa il giornale locale Metropoli, formato da amministrazione comunale, partiti (PD + PdL) sindacato e Confindustria, è così “magico” che ha sempre pensato di far scomparire con un tocco di bacchetta ogni forma di dibattito fondato sulla conoscenza dei fatti. Se la scoperta dei reperti archeologici è venuta a galla, già all’inizio dei lavori nella primavera del 2010, lo dobbiamo al fatto che alcuni cittadini curiosi, che ben conoscono questa parte del territorio, seguivano con molta apprensione lo sviluppo del cantiere, ben sapendo che quel terreno nascondeva notevoli sorprese, come infatti si stava puntualmente verificando. L’impresa non poteva far altro che chiamare la Soprintendenza archeologica, che in un primo tempo accettava qualche forma di dialogo con i visitatori (i curiosi) locali.

Quando le prime pietre cominciano a venir fuori dal terreno, secondo i solerti scavatori sono solo tracce di quei muretti che si mettono intorno agli olivi (forse in Puglia?): al che un agricoltore del posto fa notare che in quel fondovalle gli olivi non si coltivano, bisogna salire un centinaio di metri più su. Si trattava infatti del sito di origine etrusca, che emergeva ai piedi della collina accanto a una fontana settecentesca: proprio quello che i curiosi locali si aspettavano. Ne dà conto, del ritrovamento, un breve trafiletto su Repubblica del 7 giugno, che fa imbestialire la Soprintendenza. E qui si chiude ogni possibilità di rapporto amichevole con le autorità preposte allo scavo.

A una mia cortese richiesta via mail, l’ispettrice Alderighi rispondeva: “Le comunico che la situazione è del tutto tranquilla; è stato previsto un controllo archeologico dell'area su mia indicazione fin dal momento della procedura per la VIA; gli scarsi rinvenimenti che possono avere un interesse archeologico sono di minima importanza e verranno valorizzati nel miglior modo possibile”. E proseguiva con un tono sempre più seccato: “La curiosità sua e della popolazione deve attendere ancora un po’ in quanto è norma di questa Soprintendenza non rendere noto alcun risultato né agli studiosi né ai curiosi se non al termine dei lavori e, per iscritto, sul Notiziario della Soprintendenza che viene pubblicato l'anno successivo; pertanto, da parte di questa Soprintendenza, come per tutte le attività in altri siti, non è autorizzato alcun sopralluogo né rilasciato alcun comunicato durante i lavori; ad ogni modo si tratta di un cantiere privato e quindi, anche per quanto riguarda l'intero cantiere, a prescindere dai miseri ritrovamenti, un eventuale sopralluogo deve essere autorizzato dalla Proprietà”.

La mail è del 9 giugno dell’anno scorso. Soltanto di recente, nel mese di settembre, veniamo a sapere che nello stesso mese di giugno quella stessa Proprietà, con la maiuscola, aveva avanzato la richiesta di trasferire i “miseri ritrovamenti”, che allora comprendevano solo il sito etrusco-ellenistico, in altra sede: per poi estendere la richiesta, tre mesi dopo, a proposito del sito della villa romana. La richiesta era stata accolta dalla Soprintendenza regionale, e inviata a Roma al Ministero, che poi finirà per accoglierla, come è noto. Di tutto questo non trapela nulla, né sulla stampa né negli atti dell’amministrazione comunale.

Ogni tentativo di saperne di più era stato frettolosamente respinto. Cito dall’ordine del giorno presentato il 29 settembre da Lucia Carlesi:
“con domanda di attualità (delibera CC n. 26 de1 12 aprile 2010) furono richieste informazioni circa i ritrovamenti che stavano emergendo a Ponterotto avanzando richiesta di massima trasparenza e conoscenza del progetto e l'Amministrazione assicurò la presentazione di una relazione; la commissione Ambiente e Territorio nella seduta del 16 giugno 2010 esaminò la richiesta di sopralluogo sul cantiere Laika avanzata dei gruppi consiliari Laboratorio per un'Altra San Casciano-Rifondazione Comunista, Futuro Comune e Popolo della Libertà, per prendere visione degli scavi in corso e che tale richiesta fu respinta;”

Del trasferimento dei reperti si viene a conoscenza soltanto nello scorso agosto, anzi alla fine del mese, perché chi va a pensare che una delibera così importante venga presa dalla Giunta comunale il primo di agosto, senza alcuna pubblicità. E chi si poteva aspettare che il primo atto ufficiale in cui si parla di “accordo per la disciplina dei rapporti per la rimozione, ricollocazione, restauro e valorizzazione delle strutture archeologiche rinvenute in San Casciano Val di Pesa, località Ponterotto” venga non dalla Soprintendenza o dalla Regione, ma dalla Giunta che anticipa – senza neppure interpellare il Consiglio: e qui hanno commesso anche un errore procedurale, molto probabilmente – un protocollo che tutti gli interessati dovrebbero poi firmare. Qui si può dire che l’abitudine a lavorare di nascosto aveva preso un po’ la mano, ai nostri amministratori, forse convinti che nessuno si sarebbe accorto di quello che stavano facendo. Tanto più che se poi andiamo alla ricerca di qualcosa che somigli a un progetto di questa famosa “ricollocazione e valorizzazione” dei reperti dobbiamo andare a pescarlo in una deliberuccia precedente, risalente al 27 giugno, dal misterioso titolo “progetto esecutivo di valorizzazione dei siti archeologici e del parco sportivo ‘la Botte’ attraverso un sistema integrato di segnaletica turistica”.

Come mai il Sindaco avrà aspettato l’11 ottobre per presentare ufficialmente un progetto che se ne stava ben nascosto da tre mesi e mezzo? Come mai avrà scelto di presentarlo ai rappresentanti delle associazioni di categoria, e soltanto a loro: con successiva visita a “quei quattro sassi”, come li ha definiti la presidente di Confindustria? La risposta è semplice: perché solo nel mese di settembre un serio lavoro di denuncia e di comunicazione ha impegnato associazioni e comitati, oltre all’unica forza di opposizione rappresentata in Consiglio Comunale, quella di Laboratorio per un’altra San Casciano – Rifondazione Comunista. E’ stato sufficiente inventare un sito (http://archeopatacca.blogspot.com/), preparare qualche comunicato che dava pubblicità alla protesta per la mancanza di trasparenza. I primi attestati di solidarietà sono venuti proprio dal mondo degli archeologi, per i quali la stessa idea dello spostamento dei reperti suonava come uno scherzo di cattivo gusto. “La cosa che sollecita la mia curiosità e presenta, fin da subito, alcuni lati enigmatici è relativa al progetto di rimozione e ricollocazione dei resti archeologici: una procedura, tecnicamente assai problematica, alquanto rara e costosa”, così Giuliano Volpe il 12 settembre sul sito eddyburg, uno dei principali luoghi del dibattito sul territorio su scala nazionale.

Al resto ci hanno pensato proprio i sostenitori del progetto Laika, che per difenderlo con ogni mezzo hanno finito per contribuire a fare da cassa di risonanza: fino all’invasione del Consiglio Comunale in occasione della discussione su un ordine del giorno presentato da Lucia Carlesi, l’unica consigliera contraria all’operazione, accusata di voler togliere il lavoro agli operai e sottoposta a un vero e proprio tentativo di linciaggio politico. Antonella Mansi attacca gli “ambientalisti in cachemere”, e l’assessore Anna Marson risponde per le rime. Ma anche in questo caso quella che sembrava una posizione isolata, a San Casciano, è stata oggetto di una solidarietà ben più vasta e significativa, estesa a tutte le componenti dell’ambientalismo vecchio e nuovo. Anche fra le forze politiche che sostengono la Giunta regionale si sono manifestati seri dubbi sulla correttezza dell’operazione, fino al momento in cui Enrico Rossi ha chiuso ogni spiraglio annunciando la prossima firma del protocollo su “ricollocamento e valorizzazione” dei reperti, visto che è tutto in regola, con il benestare degli organi di tutela. L’archeopatacca si farà, dunque?

A questo punto possiamo promettere solo una cosa: che non staremo a guardare passivamente. Il lavoro di questi due mesi ha fatto emergere tutti i vizi di una vicenda nata male e continuata peggio. Un errore urbanistico iniziale, un disegno campanilistico in nome di presunti interessi dei lavoratori che coincidono con quelli dell’azienda, finisce per produrre una gaffe culturale senza precedenti. Ci dispiace che i dipendenti Laika siano stati tirati in ballo a sproposito per coprire responsabilità politiche (qualcuno ha anche parlato di “scudi umani”). E allora anticipiamo fin d’ora quelle che saranno le nostre domande nei prossimi mesi.

Quanto tempo ci vorrà per spostare i reperti in condizioni di sicurezza? Si parla di completare tutta l’operazione a primavera, del 2012: vogliamo scommettere che si arriverà a quella del 2013?
Quanti soldi costerà l’operazione? Si parla di 400.000 € da parte dell’azienda: e il resto? Il Comune dove li trova, i soldi (cosa che le delibere non chiariscono minimamente)? Li metterà la Regione, e con quale giustificazione? Ricordiamo che per rimpinguare le scarse risorse finanziarie il Comune ha già provveduto a vendere pezzi del proprio patrimonio: continuerà così?
Che aspetto avrà il sito-patacca? Le opere murarie saranno davvero “restaurate” come si sente dire, e inserite in un bel giardino pubblico? Quante risate si faranno i visitatori? O ci sarà da piangere?
E infine, quanti operai resteranno senza lavoro, una volta completata la nuova struttura produttiva, in nome della razionalizzazione invocata dall’azienda? E quali diritti spetteranno ai dipendenti che si sono schierati con il padrone (non si dice più?) legandosi mani e piedi alle sorti dell’azienda?

Sarà molto triste, fra qualche anno, dire che avevamo ragione: quando la frittata sarà fatta, con tutto il danno irreversibile a quel bene comune che è il paesaggio con i suoi valori storici e culturali. Se non possiamo impedire lo scempio, possiamo almeno dire che chi lo ha voluto se ne dovrà assumere la responsabilità, che l’operazione non potrà mai più essere sepolta sotto le formule del “è tutto sotto controllo” e “lasciateci lavorare”. Ci hanno provato, a fare tutto di nascosto: ma non ci sono riusciti. Questa è la nostra modesta vittoria, per ora: provino a sostenere il contrario.

Claudio Greppi si esprime anche a nome della Rete dei comitati per la difesa del territorio.

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