Per chi ha ancora qualche illusione su cosa ne faranno di Gonfienti, in particolare su quello che ne farà Enrico Rossi, si veda dello scempio fatto a San Casciano (a Firenze) con i soldi della Laika, ovvero spostare il sito archeologico, sì letteralmente spostare il sito archeologico da un'altra parte con il bene placito della Soprintendenza!, per dare questo santo benedetto lavoro a un tot numero di gente, dice lui, ma in realtà per intascare i soldi della balla-laika.
In una recente intervista il presidente ha detto che lui è per il paesaggio, e per questo lo tutela con i capannoni, che meglio delle villette oppure con qualche roba da turismo invasivo.
Leggete, e capite di che sinistra sostanza son fatti questi nostri am-minestratori.
Maila Ermini su Primavera di Prato
Vedi anche Maila Ermini mette nero su bianco la storia della battaglia di Gonfienti
La Costituzione della Repubblica Italiana recita all'Art. 9:
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
mercoledì 26 ottobre 2011
Le archeopatacche del Presidente della Gran Toscana Enrico Rossi
martedì 25 ottobre 2011
Laika, firmato il protocollo di intesa
Questa la notizia, pubblicata nel sito Toscana notizie, agenzia della Giunta Regionale Toscana:
Sul progetto, come ricorda la delibera adottata ieri della giunta regionale, si sono nel tempo pronunciati positivamente gli enti statali al massimo livello: la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Comitato tecnico scientifico per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali, la Direzione generale per le antichità dello stesso Ministero. La Regione dal canto suo esercita i compiti specifici che attengono alla valorizzazione dei beni storici e artistici presenti sul territorio.
Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”, in posizione limitrofa al percorso ciclabile che costeggia la Pesa, mantenendo ognuna il proprio orientamento in modo da riprodurne la disposizione rispetto all’esposizione al sole e alla direzione dei venti. Le strutture saranno circondate da una recinzione che ne permetta la visione dall’esterno.
La vicenda
Nel 2004 il Comune di S.Casciano ha approvato una variante del Piano regolatore che consentiva a Laika l’utilizzo di un terreno di sua proprietà ai fini della realizzazione del suo nuovo stabilimento. La nuova struttura nasce su terreni acquistati a prezzo industriale e vincolati a questo uso per 40 anni. Dopo la conclusione dell’iter autorizzativo, nel corso dei lavori, in diversi periodi del 2010, sono state rinvenute testimonianze archeologiche riferite ad epoche distinte, in particolare etrusca e romana. Fra gli altri, si sono identificati due siti di significativo interesse, ubicati lungo la pianura fluviale del Pesa o arroccati sulle alture che la difendevano naturalmente: i resti di un edificio residenziale di età etrusco-ellenistica e della pars rustica di una villa romana di prima e media età imperiale (IV-III sec. a.C.). Il mantenimento in situ di tali testimonianze è risultato da subito incompatibile con le opere da realizzare e per questo motivo è stata richiesta subito l’autorizzazione alla rimozione. La Soprintendenza ha espresso parere favorevole in quanto è stato ritenuto che l’intervento di rimozione e di ricollocazione garantisse la conservazione dei beni rinvenuti permettendone la loro fruizione e valorizzazione. L’autorizzazione definitiva alla rimozione è arrivata dalla Direzione generale del ministero nel 2011.
E questo il commento di Enrico Rossi intitolato
Così si è espresso il presidente Enrico Rossi commentando oggi la firma del protocollo Laika. “La Regione – ha proseguito – non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali. In più ci siamo impegnati per dare certezza a una impresa e a tanti lavoratori. Ci sono state discussioni e alla fine una assunzione di responsabilità. Abbiamo gli occhi addosso – ha concluso il presidente Rossi – ma così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale”.
Laika, firmato il protocollo di intesa
FIRENZE – Firmato oggi il protocollo di intesa per la tutela e la valorizzazione delle strutture di epoca etrusca e romana rinvenute a Ponterotto, nel Comune di San Casciano, attraverso un progetto di ricollocazione, restauro dei reperti e allestimento dell’area archeologica. Hanno firmato il documento, con il presidente Enrico Rossi, Maddalena Ragni per il Ministero per i beni e le attività culturali, Maria Rosa Barbera della Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il sindaco del Comune di San Casciano, Massimiliano Pescini, e l’AD della Laika Caravans spa, Jan Gerrit De Haas. Questi ultimi due soggetti si impegnano a farsi carico dei costi dell’intervento, che dovrà essere ultimato entro il 30 giugno 2013. Con questo atto viene data soluzione positiva al problema della tutela e della fruizione dei beni ritrovati, considerati una importante testimonianza del popolamento antico del territorio. La Laika potrà dal canto suo riprendere la realizzazione del nuovo stabilimento, assicurando lavoro a 249 persone (più le 800 dell’indotto). Sul progetto, come ricorda la delibera adottata ieri della giunta regionale, si sono nel tempo pronunciati positivamente gli enti statali al massimo livello: la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Comitato tecnico scientifico per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali, la Direzione generale per le antichità dello stesso Ministero. La Regione dal canto suo esercita i compiti specifici che attengono alla valorizzazione dei beni storici e artistici presenti sul territorio.
Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”, in posizione limitrofa al percorso ciclabile che costeggia la Pesa, mantenendo ognuna il proprio orientamento in modo da riprodurne la disposizione rispetto all’esposizione al sole e alla direzione dei venti. Le strutture saranno circondate da una recinzione che ne permetta la visione dall’esterno.
La vicenda
Nel 2004 il Comune di S.Casciano ha approvato una variante del Piano regolatore che consentiva a Laika l’utilizzo di un terreno di sua proprietà ai fini della realizzazione del suo nuovo stabilimento. La nuova struttura nasce su terreni acquistati a prezzo industriale e vincolati a questo uso per 40 anni. Dopo la conclusione dell’iter autorizzativo, nel corso dei lavori, in diversi periodi del 2010, sono state rinvenute testimonianze archeologiche riferite ad epoche distinte, in particolare etrusca e romana. Fra gli altri, si sono identificati due siti di significativo interesse, ubicati lungo la pianura fluviale del Pesa o arroccati sulle alture che la difendevano naturalmente: i resti di un edificio residenziale di età etrusco-ellenistica e della pars rustica di una villa romana di prima e media età imperiale (IV-III sec. a.C.). Il mantenimento in situ di tali testimonianze è risultato da subito incompatibile con le opere da realizzare e per questo motivo è stata richiesta subito l’autorizzazione alla rimozione. La Soprintendenza ha espresso parere favorevole in quanto è stato ritenuto che l’intervento di rimozione e di ricollocazione garantisse la conservazione dei beni rinvenuti permettendone la loro fruizione e valorizzazione. L’autorizzazione definitiva alla rimozione è arrivata dalla Direzione generale del ministero nel 2011.
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Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”...
ah, si è cambiata nuovamente la destinazione, solo "appena" un po' più in làE questo il commento di Enrico Rossi intitolato
Laika, Rossi: “Una soluzione equilibrata, che salva il passato e il futuro”
“Mi sembra che ora ci siano tutte le condizioni per andare avanti. Conciliare la tutela dei beni culturali e paesaggistici con la necessità dello sviluppo è sempre più difficile, ma è la nostra scommessa. Sono convinto che, se venissero a mancare il mantenimento e lo sviluppo del nostro apparato produttivo, si aprirebbe il campo ad una minaccia assai maggiore nei confronti del paesaggio, dei beni culturali e delle caratteristiche distintive della nostra Regione. Una minaccia fatta di spinte speculative finalizzate alla rendita e di ipersfruttamento delle bellezze che abbiamo e che invece dobbiamo preservare per il futuro”.Così si è espresso il presidente Enrico Rossi commentando oggi la firma del protocollo Laika. “La Regione – ha proseguito – non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali. In più ci siamo impegnati per dare certezza a una impresa e a tanti lavoratori. Ci sono state discussioni e alla fine una assunzione di responsabilità. Abbiamo gli occhi addosso – ha concluso il presidente Rossi – ma così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale”.
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Una soluzione equilibrata, che salva il passato e il futuro...
una soluzione che non salva il futuro e certamente non il passatoUna minaccia fatta di spinte speculative finalizzate alla rendita...
mi sono perso qualcosa?La Regione non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali...
frase di significato oscuroAbbiamo gli occhi addosso...
effettivamente...così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale...
qui se la canta e se la suona.
lunedì 24 ottobre 2011
Salvatore Settis: Laika, quel trasloco è fuorilegge
Laika, quel trasloco è fuorilegge
L'ex direttore della Normale: la scelta presa non rispetta nessuna normativa e mi chiedo perché tanti misteri sui manufatti
Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione
Intervista di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, domenica 23 ottobre 2011
A San Casciano dove Laika sta costruendo il nuovo stabilimento da 300 mila metri cubi sono stati scoperti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano. Il Comune e l'azienda hanno deciso di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È una archeopatacca, attaccano le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. È tutto in regola ed è la soluzione sottoscrivono il governatore Enrico Rossi e la Soprintendenza per i Beni Archeologici. Pd, industriali e sindacati accusano "l'ambientalismo in cashemire che vuole frenare lo sviluppo". L'operazione "trasloco reperti" però - che divide pure la maggioranza che governa la Regione, Pd e Idv - secondo il professor Salvatore Settis (storico dell'arte, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa) è viziata all'origine perché illegale, incostituzionale.
Professore ci spieghi.
Non stiamo parlando di un problema di gusti, ma di un problema di legalità. Quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano, ndr), "tanto importanti da non potere essere distrutti" e simultaneamente "tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ" semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali.
E allora in quali casi l'archeologia può bloccare un piano di sviluppo industriale?
Per giustificare l'idea assai bizzarra di rimuovere i reperti, creando un'area archeologica fittizia (ha avuto mano felice chi l'ha definita "archeopatacca") è stato invocato l'articolo 21 del codice dei Beni Culturali, che prevede la possibilità di rimuovere o persino di abbattere beni culturali, ma solo per cause di stretta necessità (ad esempio per ragioni di pubblica incolumità), per cui si può anche demolire in tutto o in parte un edificio storico (è il caso della Torre civica di Ravenna). Questa interpretazione della legge è confermata da tutta la giurisprudenza a me nota.
A San Casciano il conflitto è tra l'interesse economico dell'azienda, l'occupazione e la tutela di un bene culturale.
Per la Corte Costituzionale, esiste una gerarchia costituzionale dei valori, secondo cui la tutela del paesaggio e beni culturali (articolo 9 della Costituzione) non può essere "subordinata al altri valori, ivi compresi quelli economici", anzi dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (sentenza 151 del 1986, da allora spesso ribadita dalla Consulta). Quindi la tutela in situ dei reperti archeologici è gerarchicamente superiore (secondo la Costituzione) a qualsiasi capannone.
Ma il "trasloco" dei reperti è stato autorizzato dalla Soprintendenza.
Se nel caso in specie i reperti sono poca cosa, e perciò da distruggere, vuol dire che l'idea di delocalizzarli creando un falso storico è stato un errore, anche della Soprintendenza. Ma in ogni caso mi chiedo perché non sia stata mai data puntuale documentazione dei reperti pubblicando foto e piante? Perché tanti misteri, se tutto è in regola? Perché prendere decisioni irreversibili prima che sia stata diffusa una corretta e trasparente informazione? Perché non si prende in considerazione la proposta di Andrea Carandini, di lasciare i reperti in situ costruendo il capannone al di sopra, ma in modo che i resti rimangano visibili, evitando almeno la grossolanità di un falso storico?
Lei ha sempre sostenuto le Soprintendenze. Ma hanno la forza per resistere a pressioni di qualsiasi tipo?
L'intera struttura della tutela è enormemente indebolita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie, e perciò più esposta a pressioni terze.
L'assessore regionale all'urbanistica Anna Marson ha sollevato più di una perplessità sul progetto, specie sull'iter urbanistico seguito dal Comune con l'azienda. Lei come giudica l'attuale ruolo dei Comuni nella gestione del territorio?
Penso che la Toscana abbia commesso un grandissimo errore storico e politico nel subdelegare ai Comuni competenze che essa dovrebbe esercitare in prima persona, anche nello spirito dell'ultima versione del Codice, quella datata 2008 che fu varata dal governo Prodi. Una revisione della legge 1 (la legge regionale sul governo del territorio, ndr) sarebbe necessaria.
Il nuovo corso dell'urbanistica in Toscana dovrebbe seguire il principio del recupero. Questo è stato uno dei primi annunci da governatore di Rossi. Ci sarà davvero discontinuità con il passato?
Il principio del recupero di architetture dismesse, in presenza dell'enorme quantità di appartamenti invenduti (100.000 solo a Roma) è una delle strade. Ma il faro deve essere sempre e solo la Costituzione e la legalità.
Cittadini e associazioni che vorrebbero partecipare e incidere davvero sulle scelte che coinvolgono il loro territorio vengono spesso accusati di voler difendere il proprio orticello. Pubblico e privato a loro volta vengono accusati di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Non toccherebbe alla politica trovare una sintesi?
La voglia dei cittadini di partecipare al processo decisionale è in grande crescita: ci sono non meno di 15.000 associazioni in Italia che si preoccupano di paesaggio e ambiente, reagendo civilmente alle sordità, inerzie e complicità della politica. L'accusa "difendete il vostro orticello" è stupida: anche l'industriale che difende il proprio capannone andrebbe messo a tacere solo per questo? Facendo mente locale sulle situazioni a loro meglio note, i cittadini possono elaborare una coscienza più alta: se le associazioni sapranno coordinarsi, costringeranno anche i politici più ciechi ad ascoltarli. È accaduto coi referendum sull'acqua come bene comune, o con quello sulle elezioni: vittorie di cittadini, non dei partiti. Sta accadendo anche con il paesaggio, chi non se ne vuole accorgere imparerà a proprie spese.
Leggi l'articolo
L'ex direttore della Normale: la scelta presa non rispetta nessuna normativa e mi chiedo perché tanti misteri sui manufatti
Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione
Intervista di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, domenica 23 ottobre 2011
A San Casciano dove Laika sta costruendo il nuovo stabilimento da 300 mila metri cubi sono stati scoperti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano. Il Comune e l'azienda hanno deciso di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È una archeopatacca, attaccano le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. È tutto in regola ed è la soluzione sottoscrivono il governatore Enrico Rossi e la Soprintendenza per i Beni Archeologici. Pd, industriali e sindacati accusano "l'ambientalismo in cashemire che vuole frenare lo sviluppo". L'operazione "trasloco reperti" però - che divide pure la maggioranza che governa la Regione, Pd e Idv - secondo il professor Salvatore Settis (storico dell'arte, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa) è viziata all'origine perché illegale, incostituzionale.
Professore ci spieghi.
Non stiamo parlando di un problema di gusti, ma di un problema di legalità. Quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano, ndr), "tanto importanti da non potere essere distrutti" e simultaneamente "tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ" semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali.
E allora in quali casi l'archeologia può bloccare un piano di sviluppo industriale?
Per giustificare l'idea assai bizzarra di rimuovere i reperti, creando un'area archeologica fittizia (ha avuto mano felice chi l'ha definita "archeopatacca") è stato invocato l'articolo 21 del codice dei Beni Culturali, che prevede la possibilità di rimuovere o persino di abbattere beni culturali, ma solo per cause di stretta necessità (ad esempio per ragioni di pubblica incolumità), per cui si può anche demolire in tutto o in parte un edificio storico (è il caso della Torre civica di Ravenna). Questa interpretazione della legge è confermata da tutta la giurisprudenza a me nota.
A San Casciano il conflitto è tra l'interesse economico dell'azienda, l'occupazione e la tutela di un bene culturale.
Per la Corte Costituzionale, esiste una gerarchia costituzionale dei valori, secondo cui la tutela del paesaggio e beni culturali (articolo 9 della Costituzione) non può essere "subordinata al altri valori, ivi compresi quelli economici", anzi dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (sentenza 151 del 1986, da allora spesso ribadita dalla Consulta). Quindi la tutela in situ dei reperti archeologici è gerarchicamente superiore (secondo la Costituzione) a qualsiasi capannone.
Ma il "trasloco" dei reperti è stato autorizzato dalla Soprintendenza.
Se nel caso in specie i reperti sono poca cosa, e perciò da distruggere, vuol dire che l'idea di delocalizzarli creando un falso storico è stato un errore, anche della Soprintendenza. Ma in ogni caso mi chiedo perché non sia stata mai data puntuale documentazione dei reperti pubblicando foto e piante? Perché tanti misteri, se tutto è in regola? Perché prendere decisioni irreversibili prima che sia stata diffusa una corretta e trasparente informazione? Perché non si prende in considerazione la proposta di Andrea Carandini, di lasciare i reperti in situ costruendo il capannone al di sopra, ma in modo che i resti rimangano visibili, evitando almeno la grossolanità di un falso storico?
Lei ha sempre sostenuto le Soprintendenze. Ma hanno la forza per resistere a pressioni di qualsiasi tipo?
L'intera struttura della tutela è enormemente indebolita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie, e perciò più esposta a pressioni terze.
L'assessore regionale all'urbanistica Anna Marson ha sollevato più di una perplessità sul progetto, specie sull'iter urbanistico seguito dal Comune con l'azienda. Lei come giudica l'attuale ruolo dei Comuni nella gestione del territorio?
Penso che la Toscana abbia commesso un grandissimo errore storico e politico nel subdelegare ai Comuni competenze che essa dovrebbe esercitare in prima persona, anche nello spirito dell'ultima versione del Codice, quella datata 2008 che fu varata dal governo Prodi. Una revisione della legge 1 (la legge regionale sul governo del territorio, ndr) sarebbe necessaria.
Il nuovo corso dell'urbanistica in Toscana dovrebbe seguire il principio del recupero. Questo è stato uno dei primi annunci da governatore di Rossi. Ci sarà davvero discontinuità con il passato?
Il principio del recupero di architetture dismesse, in presenza dell'enorme quantità di appartamenti invenduti (100.000 solo a Roma) è una delle strade. Ma il faro deve essere sempre e solo la Costituzione e la legalità.
Cittadini e associazioni che vorrebbero partecipare e incidere davvero sulle scelte che coinvolgono il loro territorio vengono spesso accusati di voler difendere il proprio orticello. Pubblico e privato a loro volta vengono accusati di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Non toccherebbe alla politica trovare una sintesi?
La voglia dei cittadini di partecipare al processo decisionale è in grande crescita: ci sono non meno di 15.000 associazioni in Italia che si preoccupano di paesaggio e ambiente, reagendo civilmente alle sordità, inerzie e complicità della politica. L'accusa "difendete il vostro orticello" è stupida: anche l'industriale che difende il proprio capannone andrebbe messo a tacere solo per questo? Facendo mente locale sulle situazioni a loro meglio note, i cittadini possono elaborare una coscienza più alta: se le associazioni sapranno coordinarsi, costringeranno anche i politici più ciechi ad ascoltarli. È accaduto coi referendum sull'acqua come bene comune, o con quello sulle elezioni: vittorie di cittadini, non dei partiti. Sta accadendo anche con il paesaggio, chi non se ne vuole accorgere imparerà a proprie spese.
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Archeopatacca,
Enrico Rossi,
rassegna stampa
sabato 22 ottobre 2011
Lettera aperta di Giuliano Volpe a Enrico Rossi e Maddalena Ragni in attesa di cortesi (e doverose) risposte sulla vertenza Laika vs Etruschi
Lettera aperta di Giuliano Volpe, archeologo e Rettore dell'Università di Foggia,
22 ottobre 2011
Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni
Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.
Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».
Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.
Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?
Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.
Con i saluti più cordiali e con grande stima
Giuliano Volpe
22 ottobre 2011
Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni
Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.
Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».
Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.
Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?
Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.
Con i saluti più cordiali e con grande stima
Giuliano Volpe
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