Il modello toscano secondo Riccardo Conti
Paolo Baldeschi su Eddyburg, 06.11.2011
Un convegno molto utile per capire, a San Casciano. Flavio Cattaneo...
Un convegno molto utile per capire, a San Casciano. Flavio Cattaneo (amministratore delegato Terna), Roberto Colaninno (presidente Alitalia), Vito Gamberale (amministratore delegato del fondo F2i, specializzato in investimenti in reti e infrastrutture), Mauro Moretti (amministratore delegato ferrovie italiane). Quattro nomi che interverranno nella giornata conclusiva del convegno "Le reti che fanno crescere l'Italia". Quattro nomi che rappresentano il ponte di comando delle infrastrutture italiane e dei relativi interessi e fin qui siamo all'ordinario lobbismo; ma che assumono un significato particolare se vi aggiungiamo Massimo D'Alema, Riccardo Conti e il ministro Altero Matteoli, i politici che parleranno insieme agli 'imprenditori'. La sede prescelta del convegno, che si terrà dal 10 al 12 novembre, è non casualmente San Casciano in Val di Pesa, il comune la cui pessima gestione del caso Laika per dichiarazione di Conti viene rovesciata in modello esemplare.
Il significato politico dell'incontro è del tutto evidente. Si vuole proporre un tipo di governance basato sull'intreccio fra (presunti) interessi pubblici e interessi privati alimentati con i soldi dei contribuenti. Il tutto in nome di una modernizzazione che ignora i problemi del territorio, della crescente scarsità delle risorse e che neanche i disastri e le alluvioni degli ultimi giorni riescono a riscuotere dal tetragono procedere verso l'insostenibilità sociale ed economica (oltre che ambientale). Una politica che vede il futuro della Toscana nel ruolo di piattaforma logistica dei trasporti e dei traffici nord-sud (meno di quelli est-ovest ha detto Conti con una puntatina di dissenso rispetto a precedenti dichiarazioni del presidente della Regione - quest'ultimo è solamente intervistato nella tre giorni). Un' iniziativa della parte più conservatrice del Pd a difesa delle posizioni di potere nella roccaforte, o presunta tale, toscana e chiaramente contro le timide aperture del governo regionale e la politica riformatrice dell'assessore al territorio, Anna Marson. Riccardo Conti, l'organizzatore, qui si presenta come vicepresidente dell'Associazione Romano Viviani a braccetto con la Fondazione Italianieuropei di Massimo d'Alema. Ma di fatto il suo ruolo è di coordinatore nazionale per le infrastrutture nel Pd, di consigliere di amministrazione di F2i (guarda caso) in rappresentanza del Monte dei Paschi di Siena e, sempre per la 'banca rossa' di consigliere di amministrazione di SAT, la società che deve realizzare la discussa autostrada tirrenica. Il tutto con la benedizione di Altero Matteoli, che di Conti condivide gli stessi interessi infrastrutturali e la stessa idea di una governance territoriale fatta da imprenditori e di politici cointeressati che fanno da riferimento a cooperative rosse e costruttori privati.
Notevole il fatto che nei tre giorni, per lo più popolati da politici e amministratori del Pd cresciuti nelle botteghe del partito e perciò sconosciuti alla società, siano stati invitati docenti universitari di vari atenei nazionali, ma non un solo docente toscano, nel momento che le Università di Firenze, Pisa, Siena formano una rete di atenei per la revisione del Piano di indirizzo territoriale, che a sua volta avrà qualcosa da dire su quali siano le reti che fanno crescere la Toscana. Ma ancora più notevole il fatto che non si accenni, nell'intervista di Conti apparsa su Metropoli (giornaletto locale di proprietà del coordinatore del Pdl Denis Verdini, che qui funge da cassa di risonanza del Pd), né ai movimenti e ai comitati che in Toscana sono attivi, non per contrastare, ma per qualificare in senso moderno, sostenibile e non cementizio lo sviluppo della reti (soprattutto immateriali), né all'opportunità e necessità di partecipazione dei cittadini.
D'altronde la politica come ramo specialistico delle professioni intellettuali che non deve essere condizionata dal 'popolo', vale a dire è sorda nei confronti della società civile, è il nocciolo del pensiero politico di D'Alema. Da qui le alleanze con i vari Matteoli, le pericolose frequentazioni dei Pronzato e dei Penati, il prolungato appeasement nei confronti di Berlusconi. E la triplice veste di Conti - che Bersani continua a ignorare - con i suoi corposi conflitti d'interessi, dà un pessimo segnale di contro-rinnovamento (dove il rinnovamento non è certo quello ultraliberistico di Renzi) e delude chi ancora spera nelle capacità del partito democratico di liberarsi dai condizionamenti delle conventicole affaristiche.
Quando la nausea mi assale succhio uno spicchio di limone. Quando ascolto storie come questa torno a leggere questo testo. Lo consiglio anche a voi
Archeopatacca
La Costituzione della Repubblica Italiana recita all'Art. 9:
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
martedì 8 novembre 2011
La San Casciano del caso Laika "premiata" da Riccardo Conti
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mercoledì 26 ottobre 2011
Le archeopatacche del Presidente della Gran Toscana Enrico Rossi
Per chi ha ancora qualche illusione su cosa ne faranno di Gonfienti, in particolare su quello che ne farà Enrico Rossi, si veda dello scempio fatto a San Casciano (a Firenze) con i soldi della Laika, ovvero spostare il sito archeologico, sì letteralmente spostare il sito archeologico da un'altra parte con il bene placito della Soprintendenza!, per dare questo santo benedetto lavoro a un tot numero di gente, dice lui, ma in realtà per intascare i soldi della balla-laika.
In una recente intervista il presidente ha detto che lui è per il paesaggio, e per questo lo tutela con i capannoni, che meglio delle villette oppure con qualche roba da turismo invasivo.
Leggete, e capite di che sinistra sostanza son fatti questi nostri am-minestratori.
Maila Ermini su Primavera di Prato
Vedi anche Maila Ermini mette nero su bianco la storia della battaglia di Gonfienti
In una recente intervista il presidente ha detto che lui è per il paesaggio, e per questo lo tutela con i capannoni, che meglio delle villette oppure con qualche roba da turismo invasivo.
Leggete, e capite di che sinistra sostanza son fatti questi nostri am-minestratori.
Maila Ermini su Primavera di Prato
Vedi anche Maila Ermini mette nero su bianco la storia della battaglia di Gonfienti
martedì 25 ottobre 2011
Laika, firmato il protocollo di intesa
Questa la notizia, pubblicata nel sito Toscana notizie, agenzia della Giunta Regionale Toscana:
Sul progetto, come ricorda la delibera adottata ieri della giunta regionale, si sono nel tempo pronunciati positivamente gli enti statali al massimo livello: la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Comitato tecnico scientifico per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali, la Direzione generale per le antichità dello stesso Ministero. La Regione dal canto suo esercita i compiti specifici che attengono alla valorizzazione dei beni storici e artistici presenti sul territorio.
Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”, in posizione limitrofa al percorso ciclabile che costeggia la Pesa, mantenendo ognuna il proprio orientamento in modo da riprodurne la disposizione rispetto all’esposizione al sole e alla direzione dei venti. Le strutture saranno circondate da una recinzione che ne permetta la visione dall’esterno.
La vicenda
Nel 2004 il Comune di S.Casciano ha approvato una variante del Piano regolatore che consentiva a Laika l’utilizzo di un terreno di sua proprietà ai fini della realizzazione del suo nuovo stabilimento. La nuova struttura nasce su terreni acquistati a prezzo industriale e vincolati a questo uso per 40 anni. Dopo la conclusione dell’iter autorizzativo, nel corso dei lavori, in diversi periodi del 2010, sono state rinvenute testimonianze archeologiche riferite ad epoche distinte, in particolare etrusca e romana. Fra gli altri, si sono identificati due siti di significativo interesse, ubicati lungo la pianura fluviale del Pesa o arroccati sulle alture che la difendevano naturalmente: i resti di un edificio residenziale di età etrusco-ellenistica e della pars rustica di una villa romana di prima e media età imperiale (IV-III sec. a.C.). Il mantenimento in situ di tali testimonianze è risultato da subito incompatibile con le opere da realizzare e per questo motivo è stata richiesta subito l’autorizzazione alla rimozione. La Soprintendenza ha espresso parere favorevole in quanto è stato ritenuto che l’intervento di rimozione e di ricollocazione garantisse la conservazione dei beni rinvenuti permettendone la loro fruizione e valorizzazione. L’autorizzazione definitiva alla rimozione è arrivata dalla Direzione generale del ministero nel 2011.
E questo il commento di Enrico Rossi intitolato
Così si è espresso il presidente Enrico Rossi commentando oggi la firma del protocollo Laika. “La Regione – ha proseguito – non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali. In più ci siamo impegnati per dare certezza a una impresa e a tanti lavoratori. Ci sono state discussioni e alla fine una assunzione di responsabilità. Abbiamo gli occhi addosso – ha concluso il presidente Rossi – ma così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale”.
Laika, firmato il protocollo di intesa
FIRENZE – Firmato oggi il protocollo di intesa per la tutela e la valorizzazione delle strutture di epoca etrusca e romana rinvenute a Ponterotto, nel Comune di San Casciano, attraverso un progetto di ricollocazione, restauro dei reperti e allestimento dell’area archeologica. Hanno firmato il documento, con il presidente Enrico Rossi, Maddalena Ragni per il Ministero per i beni e le attività culturali, Maria Rosa Barbera della Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il sindaco del Comune di San Casciano, Massimiliano Pescini, e l’AD della Laika Caravans spa, Jan Gerrit De Haas. Questi ultimi due soggetti si impegnano a farsi carico dei costi dell’intervento, che dovrà essere ultimato entro il 30 giugno 2013. Con questo atto viene data soluzione positiva al problema della tutela e della fruizione dei beni ritrovati, considerati una importante testimonianza del popolamento antico del territorio. La Laika potrà dal canto suo riprendere la realizzazione del nuovo stabilimento, assicurando lavoro a 249 persone (più le 800 dell’indotto). Sul progetto, come ricorda la delibera adottata ieri della giunta regionale, si sono nel tempo pronunciati positivamente gli enti statali al massimo livello: la Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, il Comitato tecnico scientifico per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali, la Direzione generale per le antichità dello stesso Ministero. La Regione dal canto suo esercita i compiti specifici che attengono alla valorizzazione dei beni storici e artistici presenti sul territorio.
Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”, in posizione limitrofa al percorso ciclabile che costeggia la Pesa, mantenendo ognuna il proprio orientamento in modo da riprodurne la disposizione rispetto all’esposizione al sole e alla direzione dei venti. Le strutture saranno circondate da una recinzione che ne permetta la visione dall’esterno.
La vicenda
Nel 2004 il Comune di S.Casciano ha approvato una variante del Piano regolatore che consentiva a Laika l’utilizzo di un terreno di sua proprietà ai fini della realizzazione del suo nuovo stabilimento. La nuova struttura nasce su terreni acquistati a prezzo industriale e vincolati a questo uso per 40 anni. Dopo la conclusione dell’iter autorizzativo, nel corso dei lavori, in diversi periodi del 2010, sono state rinvenute testimonianze archeologiche riferite ad epoche distinte, in particolare etrusca e romana. Fra gli altri, si sono identificati due siti di significativo interesse, ubicati lungo la pianura fluviale del Pesa o arroccati sulle alture che la difendevano naturalmente: i resti di un edificio residenziale di età etrusco-ellenistica e della pars rustica di una villa romana di prima e media età imperiale (IV-III sec. a.C.). Il mantenimento in situ di tali testimonianze è risultato da subito incompatibile con le opere da realizzare e per questo motivo è stata richiesta subito l’autorizzazione alla rimozione. La Soprintendenza ha espresso parere favorevole in quanto è stato ritenuto che l’intervento di rimozione e di ricollocazione garantisse la conservazione dei beni rinvenuti permettendone la loro fruizione e valorizzazione. L’autorizzazione definitiva alla rimozione è arrivata dalla Direzione generale del ministero nel 2011.
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Le opere rimosse verranno ricollocate in un’aerea già individuata, adiacente all’area naturalistico-sportiva “La botte”...
ah, si è cambiata nuovamente la destinazione, solo "appena" un po' più in làE questo il commento di Enrico Rossi intitolato
Laika, Rossi: “Una soluzione equilibrata, che salva il passato e il futuro”
“Mi sembra che ora ci siano tutte le condizioni per andare avanti. Conciliare la tutela dei beni culturali e paesaggistici con la necessità dello sviluppo è sempre più difficile, ma è la nostra scommessa. Sono convinto che, se venissero a mancare il mantenimento e lo sviluppo del nostro apparato produttivo, si aprirebbe il campo ad una minaccia assai maggiore nei confronti del paesaggio, dei beni culturali e delle caratteristiche distintive della nostra Regione. Una minaccia fatta di spinte speculative finalizzate alla rendita e di ipersfruttamento delle bellezze che abbiamo e che invece dobbiamo preservare per il futuro”.Così si è espresso il presidente Enrico Rossi commentando oggi la firma del protocollo Laika. “La Regione – ha proseguito – non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali. In più ci siamo impegnati per dare certezza a una impresa e a tanti lavoratori. Ci sono state discussioni e alla fine una assunzione di responsabilità. Abbiamo gli occhi addosso – ha concluso il presidente Rossi – ma così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale”.
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Una soluzione equilibrata, che salva il passato e il futuro...
una soluzione che non salva il futuro e certamente non il passatoUna minaccia fatta di spinte speculative finalizzate alla rendita...
mi sono perso qualcosa?La Regione non si occupa di tutela ma di valorizzazione dei beni culturali...
frase di significato oscuroAbbiamo gli occhi addosso...
effettivamente...così la Toscana si sta facendo un buon nome a livello nazionale e internazionale...
qui se la canta e se la suona.
La lettera al Presidente della Regione Toscana da parte dei Presidenti delle Consulte Archeologiche
La vicenda di San Casciano rappresenta l'ennesimo episodio di 'distruzione' del patrimonio archeologico e ambientale. Nello specifico, non è tanto l'importanza dei resti rinvenuti (di cui quasi nessuno conosce l'entità e la natura), ma proprio l'assenza di informazione e di partecipazione nelle scelte decisionali (fino alla risibile decisione di allocare altrove ciò che rimaneva delle strutture murarie scoperte) che rendono discutibile ed emblematica la vicenda.
La presa di posizione pubblica da parte delle due Consulte Archeologiche (la Consulta Universitaria per l'archeologia del mondo classico nella persona della Presidente Prof. Angela Pontrandolfo e la Consulta Universitaria per l’Archeologia Post-Classica nella persona del Presidente Prof. Sauro Gelichi) nella lettera inviata al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana Maddalena Ragni.
Al Presidente della Regione Toscana Dott. Enrico Rossi Regione Toscana
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana Dott.ssa Maddalena Ragni
Gentile Presidente, Gentile Direttrice
la Consulta universitaria per l'archeologia del mondo classico e quella per l’Archeologia Post-classica esprimono condivisione e pieno sostegno alla lettera inviata dal collega Giuliano Volpe, sulla questione dei rinvenimenti archeologici avvenuti nel Comune di San Casciano val di Pesa (FI), in occasione della costruzione di un nuovo stabilimento da 300mila metri cubi da parte di Laika. Pur non volendo entrare nel merito del ‘valore’ del contesto archeologico che si intende rimuovere e trasportare altrove, anche perchè privi di sufficienti informazioni scientifiche, ci sentiamo tuttavia di dover rilevare la scarsa trasparenza che ha contraddistinto l’iter di tutta questa vicenda, fin dalla mancata diagnostica preventiva. Anche noi ci auguriamo che la Regione Toscana, che è stata protagonista di avanzate politiche di tutela e valorizzazione del proprio patrimonio archeologico e paesaggistico, sappia trovare le soluzioni più idonee per offrire una soluzione adeguata all’intera vicenda.
Con i migliori saluti
Prof. Angela Pontrandolfo Presidente della Consulta Universitaria per per l'archeologia del mondo classico
Prof. Sauro Gelichi Presidente della Consulta Universitaria per l’Archeologia Post-Classica
La presa di posizione pubblica da parte delle due Consulte Archeologiche (la Consulta Universitaria per l'archeologia del mondo classico nella persona della Presidente Prof. Angela Pontrandolfo e la Consulta Universitaria per l’Archeologia Post-Classica nella persona del Presidente Prof. Sauro Gelichi) nella lettera inviata al Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana Maddalena Ragni.
Al Presidente della Regione Toscana Dott. Enrico Rossi Regione Toscana
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana Dott.ssa Maddalena Ragni
Gentile Presidente, Gentile Direttrice
la Consulta universitaria per l'archeologia del mondo classico e quella per l’Archeologia Post-classica esprimono condivisione e pieno sostegno alla lettera inviata dal collega Giuliano Volpe, sulla questione dei rinvenimenti archeologici avvenuti nel Comune di San Casciano val di Pesa (FI), in occasione della costruzione di un nuovo stabilimento da 300mila metri cubi da parte di Laika. Pur non volendo entrare nel merito del ‘valore’ del contesto archeologico che si intende rimuovere e trasportare altrove, anche perchè privi di sufficienti informazioni scientifiche, ci sentiamo tuttavia di dover rilevare la scarsa trasparenza che ha contraddistinto l’iter di tutta questa vicenda, fin dalla mancata diagnostica preventiva. Anche noi ci auguriamo che la Regione Toscana, che è stata protagonista di avanzate politiche di tutela e valorizzazione del proprio patrimonio archeologico e paesaggistico, sappia trovare le soluzioni più idonee per offrire una soluzione adeguata all’intera vicenda.
Con i migliori saluti
Prof. Angela Pontrandolfo Presidente della Consulta Universitaria per per l'archeologia del mondo classico
Prof. Sauro Gelichi Presidente della Consulta Universitaria per l’Archeologia Post-Classica
lunedì 24 ottobre 2011
Salvatore Settis: Laika, quel trasloco è fuorilegge
Laika, quel trasloco è fuorilegge
L'ex direttore della Normale: la scelta presa non rispetta nessuna normativa e mi chiedo perché tanti misteri sui manufatti
Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione
Intervista di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, domenica 23 ottobre 2011
A San Casciano dove Laika sta costruendo il nuovo stabilimento da 300 mila metri cubi sono stati scoperti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano. Il Comune e l'azienda hanno deciso di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È una archeopatacca, attaccano le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. È tutto in regola ed è la soluzione sottoscrivono il governatore Enrico Rossi e la Soprintendenza per i Beni Archeologici. Pd, industriali e sindacati accusano "l'ambientalismo in cashemire che vuole frenare lo sviluppo". L'operazione "trasloco reperti" però - che divide pure la maggioranza che governa la Regione, Pd e Idv - secondo il professor Salvatore Settis (storico dell'arte, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa) è viziata all'origine perché illegale, incostituzionale.
Professore ci spieghi.
Non stiamo parlando di un problema di gusti, ma di un problema di legalità. Quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano, ndr), "tanto importanti da non potere essere distrutti" e simultaneamente "tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ" semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali.
E allora in quali casi l'archeologia può bloccare un piano di sviluppo industriale?
Per giustificare l'idea assai bizzarra di rimuovere i reperti, creando un'area archeologica fittizia (ha avuto mano felice chi l'ha definita "archeopatacca") è stato invocato l'articolo 21 del codice dei Beni Culturali, che prevede la possibilità di rimuovere o persino di abbattere beni culturali, ma solo per cause di stretta necessità (ad esempio per ragioni di pubblica incolumità), per cui si può anche demolire in tutto o in parte un edificio storico (è il caso della Torre civica di Ravenna). Questa interpretazione della legge è confermata da tutta la giurisprudenza a me nota.
A San Casciano il conflitto è tra l'interesse economico dell'azienda, l'occupazione e la tutela di un bene culturale.
Per la Corte Costituzionale, esiste una gerarchia costituzionale dei valori, secondo cui la tutela del paesaggio e beni culturali (articolo 9 della Costituzione) non può essere "subordinata al altri valori, ivi compresi quelli economici", anzi dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (sentenza 151 del 1986, da allora spesso ribadita dalla Consulta). Quindi la tutela in situ dei reperti archeologici è gerarchicamente superiore (secondo la Costituzione) a qualsiasi capannone.
Ma il "trasloco" dei reperti è stato autorizzato dalla Soprintendenza.
Se nel caso in specie i reperti sono poca cosa, e perciò da distruggere, vuol dire che l'idea di delocalizzarli creando un falso storico è stato un errore, anche della Soprintendenza. Ma in ogni caso mi chiedo perché non sia stata mai data puntuale documentazione dei reperti pubblicando foto e piante? Perché tanti misteri, se tutto è in regola? Perché prendere decisioni irreversibili prima che sia stata diffusa una corretta e trasparente informazione? Perché non si prende in considerazione la proposta di Andrea Carandini, di lasciare i reperti in situ costruendo il capannone al di sopra, ma in modo che i resti rimangano visibili, evitando almeno la grossolanità di un falso storico?
Lei ha sempre sostenuto le Soprintendenze. Ma hanno la forza per resistere a pressioni di qualsiasi tipo?
L'intera struttura della tutela è enormemente indebolita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie, e perciò più esposta a pressioni terze.
L'assessore regionale all'urbanistica Anna Marson ha sollevato più di una perplessità sul progetto, specie sull'iter urbanistico seguito dal Comune con l'azienda. Lei come giudica l'attuale ruolo dei Comuni nella gestione del territorio?
Penso che la Toscana abbia commesso un grandissimo errore storico e politico nel subdelegare ai Comuni competenze che essa dovrebbe esercitare in prima persona, anche nello spirito dell'ultima versione del Codice, quella datata 2008 che fu varata dal governo Prodi. Una revisione della legge 1 (la legge regionale sul governo del territorio, ndr) sarebbe necessaria.
Il nuovo corso dell'urbanistica in Toscana dovrebbe seguire il principio del recupero. Questo è stato uno dei primi annunci da governatore di Rossi. Ci sarà davvero discontinuità con il passato?
Il principio del recupero di architetture dismesse, in presenza dell'enorme quantità di appartamenti invenduti (100.000 solo a Roma) è una delle strade. Ma il faro deve essere sempre e solo la Costituzione e la legalità.
Cittadini e associazioni che vorrebbero partecipare e incidere davvero sulle scelte che coinvolgono il loro territorio vengono spesso accusati di voler difendere il proprio orticello. Pubblico e privato a loro volta vengono accusati di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Non toccherebbe alla politica trovare una sintesi?
La voglia dei cittadini di partecipare al processo decisionale è in grande crescita: ci sono non meno di 15.000 associazioni in Italia che si preoccupano di paesaggio e ambiente, reagendo civilmente alle sordità, inerzie e complicità della politica. L'accusa "difendete il vostro orticello" è stupida: anche l'industriale che difende il proprio capannone andrebbe messo a tacere solo per questo? Facendo mente locale sulle situazioni a loro meglio note, i cittadini possono elaborare una coscienza più alta: se le associazioni sapranno coordinarsi, costringeranno anche i politici più ciechi ad ascoltarli. È accaduto coi referendum sull'acqua come bene comune, o con quello sulle elezioni: vittorie di cittadini, non dei partiti. Sta accadendo anche con il paesaggio, chi non se ne vuole accorgere imparerà a proprie spese.
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L'ex direttore della Normale: la scelta presa non rispetta nessuna normativa e mi chiedo perché tanti misteri sui manufatti
Settis: i reperti etruschi vengono prima dello stabilimento. Lo dice la Costituzione
Intervista di Alessio Gaggioli, Corriere Fiorentino, domenica 23 ottobre 2011
A San Casciano dove Laika sta costruendo il nuovo stabilimento da 300 mila metri cubi sono stati scoperti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano. Il Comune e l'azienda hanno deciso di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È una archeopatacca, attaccano le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. È tutto in regola ed è la soluzione sottoscrivono il governatore Enrico Rossi e la Soprintendenza per i Beni Archeologici. Pd, industriali e sindacati accusano "l'ambientalismo in cashemire che vuole frenare lo sviluppo". L'operazione "trasloco reperti" però - che divide pure la maggioranza che governa la Regione, Pd e Idv - secondo il professor Salvatore Settis (storico dell'arte, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa) è viziata all'origine perché illegale, incostituzionale.
Professore ci spieghi.
Non stiamo parlando di un problema di gusti, ma di un problema di legalità. Quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano, ndr), "tanto importanti da non potere essere distrutti" e simultaneamente "tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ" semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali.
E allora in quali casi l'archeologia può bloccare un piano di sviluppo industriale?
Per giustificare l'idea assai bizzarra di rimuovere i reperti, creando un'area archeologica fittizia (ha avuto mano felice chi l'ha definita "archeopatacca") è stato invocato l'articolo 21 del codice dei Beni Culturali, che prevede la possibilità di rimuovere o persino di abbattere beni culturali, ma solo per cause di stretta necessità (ad esempio per ragioni di pubblica incolumità), per cui si può anche demolire in tutto o in parte un edificio storico (è il caso della Torre civica di Ravenna). Questa interpretazione della legge è confermata da tutta la giurisprudenza a me nota.
A San Casciano il conflitto è tra l'interesse economico dell'azienda, l'occupazione e la tutela di un bene culturale.
Per la Corte Costituzionale, esiste una gerarchia costituzionale dei valori, secondo cui la tutela del paesaggio e beni culturali (articolo 9 della Costituzione) non può essere "subordinata al altri valori, ivi compresi quelli economici", anzi dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale" (sentenza 151 del 1986, da allora spesso ribadita dalla Consulta). Quindi la tutela in situ dei reperti archeologici è gerarchicamente superiore (secondo la Costituzione) a qualsiasi capannone.
Ma il "trasloco" dei reperti è stato autorizzato dalla Soprintendenza.
Se nel caso in specie i reperti sono poca cosa, e perciò da distruggere, vuol dire che l'idea di delocalizzarli creando un falso storico è stato un errore, anche della Soprintendenza. Ma in ogni caso mi chiedo perché non sia stata mai data puntuale documentazione dei reperti pubblicando foto e piante? Perché tanti misteri, se tutto è in regola? Perché prendere decisioni irreversibili prima che sia stata diffusa una corretta e trasparente informazione? Perché non si prende in considerazione la proposta di Andrea Carandini, di lasciare i reperti in situ costruendo il capannone al di sopra, ma in modo che i resti rimangano visibili, evitando almeno la grossolanità di un falso storico?
Lei ha sempre sostenuto le Soprintendenze. Ma hanno la forza per resistere a pressioni di qualsiasi tipo?
L'intera struttura della tutela è enormemente indebolita dalla mancanza di risorse umane e finanziarie, e perciò più esposta a pressioni terze.
L'assessore regionale all'urbanistica Anna Marson ha sollevato più di una perplessità sul progetto, specie sull'iter urbanistico seguito dal Comune con l'azienda. Lei come giudica l'attuale ruolo dei Comuni nella gestione del territorio?
Penso che la Toscana abbia commesso un grandissimo errore storico e politico nel subdelegare ai Comuni competenze che essa dovrebbe esercitare in prima persona, anche nello spirito dell'ultima versione del Codice, quella datata 2008 che fu varata dal governo Prodi. Una revisione della legge 1 (la legge regionale sul governo del territorio, ndr) sarebbe necessaria.
Il nuovo corso dell'urbanistica in Toscana dovrebbe seguire il principio del recupero. Questo è stato uno dei primi annunci da governatore di Rossi. Ci sarà davvero discontinuità con il passato?
Il principio del recupero di architetture dismesse, in presenza dell'enorme quantità di appartamenti invenduti (100.000 solo a Roma) è una delle strade. Ma il faro deve essere sempre e solo la Costituzione e la legalità.
Cittadini e associazioni che vorrebbero partecipare e incidere davvero sulle scelte che coinvolgono il loro territorio vengono spesso accusati di voler difendere il proprio orticello. Pubblico e privato a loro volta vengono accusati di socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Non toccherebbe alla politica trovare una sintesi?
La voglia dei cittadini di partecipare al processo decisionale è in grande crescita: ci sono non meno di 15.000 associazioni in Italia che si preoccupano di paesaggio e ambiente, reagendo civilmente alle sordità, inerzie e complicità della politica. L'accusa "difendete il vostro orticello" è stupida: anche l'industriale che difende il proprio capannone andrebbe messo a tacere solo per questo? Facendo mente locale sulle situazioni a loro meglio note, i cittadini possono elaborare una coscienza più alta: se le associazioni sapranno coordinarsi, costringeranno anche i politici più ciechi ad ascoltarli. È accaduto coi referendum sull'acqua come bene comune, o con quello sulle elezioni: vittorie di cittadini, non dei partiti. Sta accadendo anche con il paesaggio, chi non se ne vuole accorgere imparerà a proprie spese.
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sabato 22 ottobre 2011
Lettera aperta di Giuliano Volpe a Enrico Rossi e Maddalena Ragni in attesa di cortesi (e doverose) risposte sulla vertenza Laika vs Etruschi
Lettera aperta di Giuliano Volpe, archeologo e Rettore dell'Università di Foggia,
22 ottobre 2011
Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni
Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.
Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».
Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.
Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?
Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.
Con i saluti più cordiali e con grande stima
Giuliano Volpe
22 ottobre 2011
Al Presidente della Regione Toscana
Dott. Enrico Rossi
Alla Direttrice per i beni culturali e paesaggistici della Toscana
Dott.ssa Maddalena Ragni
Gentile Presidente, Gentile Direttrice
Come forse sapranno, alcune settimane fa sono intervenuto con una breve nota (http://eddyburg.it/article/articleview/17623/1/92) in merito alla questione dei rinvenimenti archeologici di San Casciano. Il mio intervento, come archeologo e come cittadino italiano interessato alla conoscenza, tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, si limitava a brevi considerazioni e soprattutto a porre alcune domande, che nel frattempo non hanno ricevuto alcuna risposta. E nessuna risposta, mi sembra, ha ricevuto anche Salvatore Settis, che ha espresso pubblicamente i suoi dubbi e le sue riserve.
Poiché non conosco la situazione, non disponendo di informazioni di prima mano (e come me, credo, nessuno, al di fuori della stretta cerchia degli addetti ai lavori), non posso e non voglio entrare, anche in questa occasione, nel merito del significato e del valore, dell’entità scientifica e culturale del ritrovamento, né del perché dell’assenza di indagini preventive che probabilmente avrebbero evitato questa contrapposizione, e nemmeno delle scelte - a mio parere assolutamente discutibili, anche se certamente legittime e, in altri casi eccezionali, praticate - di ‘delocalizzare’ i resti archeologici (uso volutamente questa brutta espressione), pur restando dell’idea, come avevo già scritto, che:
a) «se i ritrovamenti sono relativi a “pochi muretti”, come qualcuno sussurra, si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze, si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti»;
b) «se, invece, si trattasse di elementi di grande interesse storico-archeologico, tali da richiederne addirittura lo smontaggio e la ricollocazione in altro luogo, allora forse sarebbe il caso di riesaminare più attentamente la questione, privilegiando la conservazione in situ».
Il problema che invece pongo, a questo punto, è un altro, forse ancor più significativo, perché tocca la concezione democratica e trasparente dell’archeologia. Perché non si sono fornite notizie sui ritrovamenti? Perché non si sono aperti i cantieri ad archeologi, ad esperti, ad associazioni, ai cittadini, come avviene in tutti i paesi europei, anche in problematici contesti urbani e rurali? Corrisponde a verità quanto si dice a proposito della minaccia dell’intervento delle forze dell’ordine per impedire alla stampa la ripresa fotografica e video dei resti? L’opacità produce sempre dubbi e sospetti. L’archeologia ha bisogno di trasparenza e di coinvolgimento sociale.
Il prossimo anno terremo a Firenze un convegno sull’Archeologia Pubblica, al quale un gruppo di archeologi, tra cui chi scrive, sta lavorando da tempo. Come potremmo parlare di archeologia pubblica, di ruolo sociale dell’archeologia, di partecipazione democratica, mentre non si garantisce nemmeno, in situazioni come queste, un minimo di trasparenza?
Sono sicuro che, anche in questa occasione, la Regione Toscana, regione di solide tradizioni democratiche e modello di politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, saprà offrire una risposta capace di fugare quei dubbi e quei sospetti che finora questa triste vicenda ha oggettivamente prodotto.
Con i saluti più cordiali e con grande stima
Giuliano Volpe
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San Casciano Val di Pesa
Lettera aperta di Legambiente circolo Il Passignano
Ai lavoratori LAIKA
Alla RSU LAIKA
Alla FIOM CGIL
Alla CGIL
E p.c. al segretario nazionale FIOM Maurizio Landini
Cari compagni ed amici lavoratori e sindacalisti. Chi vi scrive è il circolo Legambiente Il Passignano; siamo un piccolo gruppo di persone semplici (contadini, artigiani, insegnanti, pensionati) che da oltre 10 anni si è impegnato nel tentativo di impedire e contestare un intervento immobiliare distruttivo da parte della azienda Hymer, proprietaria di Laika caravan: la costruzione di uno stabilimento di 34000 mq, dei quali subito ne vengono edificati 26000, nel fondovalle della Pesa dove da sempre abbiamo chiesto di localizzare un parco territoriale fluviale, in una zona lontana dalla superstrada, senza ferrovie o infrastrutture di collegamento, lontana pure dal distretto della camperistica di Poggibonsi. Il posto sbagliato per uno stabilimento che nessuno contesta ma del quale chiedevamo una localizzazione all’interno di zone industriali in essere, già previste dalla pianificazione locale (a Tavarnelle, o a Barberino, o a Poggibonsi stessa).
Nessun conflitto quindi con i lavoratori, nessuno tra noi ha mai messo in discussione la produzione di camper in quanto tale o la localizzazione nel Chianti di questa azienda.
Abbiamo contestato il fatto che l’azienda, per realizzare un affare immobiliare, abbia comprato su indicazioni degli amministratori locali di San Casciano certi terreni agricoli (nel 2002) con la garanzia che poi sarebbero state rese edificabili (cosa successa due anni più tardi, con la variante del 2004), al di fuori di ogni pianificazione pubblica. Un colossale affare per chi ha venduto terreni agricoli a 23 euro al mq, un prezzo quasi venti volte superiore a quello di un seminativo. Un bell’affare anche per chi ha comprato al valore di un quarto del terreno fabbricabile industriale.
Abbiamo contestato il fatto che la Hymer nel 2000 abbia prima completato la costruzione dello stabilimento LAIKA3, 13000 mq ottenuti dalla precedente proprietà con apposita variante del 1997 dal Comune di Tavarnelle al fine di consentire l’accorpamento degli stabilimenti oggi dispersi, poi lo abbia dichiarato inadatto alla produzione, e successivamente lo abbia messo in vendita per 12 milioni di euro al fine di finanziare l’operazione immobiliare; una truffa ai danni della comunità locale, alla quale anche noi avevamo creduto, appoggiando quella variante a Tavarnelle in nome del diritto alla sicurezza dei lavoratori e accettando il connesso consumo di suolo come un costo necessario.
Dopo tanti anni di vertenze si è arrivati nel 2007 alla variante definitiva e nel 2008 al progetto concessionato dello stabilimento: passati altri tre anni persi dall’azienda (che ha presentato una richiesta di variante alla variante) si avviano nel 2010 i lavori di scavo, che fanno emergere vestigia etrusche e romane. Abbiamo chiesto chiarezza sul valore dei reperti, e abbiamo contestato un accordo siglato tra azienda e Comune in virtù del quale per non cambiare un mattone del progetto (cosa facile e praticabile) si è deciso di smantellare una zona archeologica, ricostruendo CON SOLDI PUBBLICI una finta rovina con le pietre e i muri riassemblati. Questa storia ha prodotto articoli e dibattiti pubblici, che però sembrano destinati a essere spazzati via dalla annunciata firma della Regione del protocollo di intesa con Laika.
Non abbiamo mai contestato il legittimo diritto dei lavoratori di chiedere uno stabilimento salubre e razionale, perché ritenevamo e riteniamo opportuna e necessaria una soluzione alle esigenze di ristrutturazione aziendale che conciliasse tutela del paesaggio e dei beni culturali e sviluppo delle attività economiche.
Però sentiamo la necessità di porvi delle domande:
Perché avete sin dall’inizio rifiutato di incontrare e confrontarvi con noi e le altre associazioni ambientaliste, sposando acriticamente il progetto dell’azienda e rendendo così impossibile l’emergere di alternative al sito? Eppure, se avessimo unito le forze avremmo potuto chiedere all’amministrazione comunale di San Casciano di non accettare supinamente ogni pretesa dell’azienda. Lo stabilimento Laika 3 avrebbe potuto essere usato, sia pur temporaneamente in questi 10 anni, per togliere i lavoratori da capannoni a rischio, con tettoie di amianto. In questi 10 anni un nuovo stabilimento di 22000 mq poteva tranquillamente essere localizzato e costruito, anche riusando volumetrie esistenti. Invece avete accettato la messa in vendita dello stabilimento appena costruito a Tavarnelle, avete accettato di lavorare 10 anni in condizioni di rischio e disagio, addirittura trasformando questo fatto in una imputazione verso chi contestava la variante: invece nei vostri comunicati l’azienda che per risparmiare non rimuove l’amianto e che per far cassa vende uno stabilimento vuoto a norma e salubre non compare mai come controparte o responsabile del vostro disagioi! Il conflitto sulla variante ha prodotto inefficienze, ritardi, dei quali voi per primi avete pagato e pagherete i costi; preventivando realisticamente altri due anni di lavoro per distruggere il sito archeologico e per costruire lo stabilimento, ci saranno voluti 13 anni per realizzare un banale capannone, mentre se insieme avessimo proposto altre strade, la Hymer avrebbe scelto un’altra localizzazione nel Chianti a minore impatto e avrebbe già realizzato e messo in produzione lo stabilimento da anni (certo, rinunciando alla speculazione sui terreni in territorio aperto).
Perché vi siete prestati a diventare la massa di manovra dell’azienda, attaccandoci metodicamente ogni volta che noi provavamo ad interloquire o a contestare le scelte dell’impresa? Quando abbiamo ricorso al TAR il sindacato ha garantito sulla piena liceità dell’intervento, quando abbiamo contestato l’impatto ambientale la RSU ci ha attaccati dichiarando che quell’area è in realtà già degradata e industrializzata, quando abbiamo chiesto di salvare i reperti archeologici il segretario regionale CGIL ci ha risposto che tra gli etruschi e il capannone bisogna scegliere “il futuro”.
Insomma, invece di scontrarci con la società Hymer (che ha sempre tenuto un profilo bassissimo), con i suoi tecnici o i suoi portavoce, trovavamo i vostri striscioni a pavesare le sale comunali quando c’era da mettere in minoranza la critica, trovavamo le vostre interviste e i vostri comunicati che ci dichiaravano NEMICI DEL LAVORO, sia che cercassimo di dibattere sui beni archeologici sia che discutessimo di paesaggio o urbanistica. Di questo totale appiattimento sulle ragioni aziendali è testimonianza ultima un volantino diffuso in tutto il paese a firma “lavoratori Laika” nel quale si legge che gli ambientalisti “…ci hanno attaccato dipingendoci come dei distruttori delle bellezze del Chianti, ricorrendo alla magistratura….” Come se criticare la multinazionale Hymer o ricorrere alla giustizia significasse attaccare i dipendenti!!! Noi non abbiamo mai detto che sono i lavoratori o i sindacati responsabili delle scelte aziendali, purtroppo siete voi che avete stabilito l’equazione
PROFITTO AZIENDA=LAVORO=INTERESSE PUBBLICO.
Una equazione tutta da dimostrare e che temiamo produrrà cemento, distruzione ambientale, poco lavoro e sul lungo termine POCHI DIRITTI DEL LAVORO: prima si attaccano i vincoli ambientali e il diritto della comunità alla bellezza e al paesaggio, ma poi sotto i colpi della crisi le imprese chiederanno di ridiscutere anche i diritti collettivi e individuali dei lavoratori, e se accettiamo l’idea che l’impresa economica e il profitto sono in quanto tali INTERESSE SUPERIORE cadranno anche quelli. Noi crediamo che solo una riconversione ecologica dell’economia offra sul lungo periodo garanzie di giustizia, sostenibilità e occupazione, ma per imporre le necessarie scelte di rinnovamento servirebbe un sindacato che metta in discussione cosa e come si produce, costruendo alleanze con soggetti della società e del mondo della cultura: nel caso Laika, vi siete scelti un ruolo del tutto antitetico.
Perché vi siete prestati a coprire le campagne di propaganda dell’azienda a base di dati ritoccati o fuorvianti? Perché avete accettato di presentare come virtuosa e proiettata nel futuro la società Hymer? L’azienda, fornendo dati incompleti o fuorvianti ha chiaramente cercato di “blindare” le volumetrie ottenute, affermandone la necessità in funzione di future inverosimili espansioni produttive. Questo perché si tratta di un investimento che consentirà di capitalizzare il vantaggio ottenuto con la variante ad hoc, e perché ogni mc di capannone può tradursi in futuro in soldi (come dimostra la storia dello stabilimento mai usato e messo in vendita).
Ma la realtà è un’altra, è quella di una crisi generale del settore dal quale l’impresa ha cercato di uscire facendone pagare il costo in Germania e in Francia a centinaia di lavoratori messi sul lastrico (Eriba francese, dichiarata fallita nel 2010 con 190 dipendenti). Laika ha fatto ricorso al lavoro precario per rispondere ai picchi produttivi del (28 interinali nel 2008) proprio perché nelle valutazioni dei loro analisti si preventiva una fase non passeggera di stabilizzazione dei mercati, e il nuovo stabilimento non casualmente è “solo” di 26000 mq, a fronte di 34000 previsti dalla variante. Il dimensionamento del progetto (servizi, logistica, etc.) è dichiarato da Laika per 210 addetti complessivi alla produzione (compreso magazzino), meno di quanti ne ha avuti nel recente passato. La stessa crisi di vendite e produzione è stata nascosta, schermata, alla pari del calo degli addetti totali dai 270 del 2008 ai 196 del 2009, ai 189 del 2010. Si sono gonfiate le cifre, dichiarando un indotto inverosimile: 100-150 addetti dell’indotto nel 2004 dichiarati da Laika all’atto di richiesta della Variante (86 milioni di produzione), diventati 450 nel 2007 (95 milioni di produzione), cresciuti a 800 e 1000 oggi nelle dichiarazioni di amministratori e sindacato (70 milioni di produzione dichiarati, da verificare): si decuplica l’indotto a fronte di un calo della produzione!!! Nel bilancio 2010 (ultimo verificabile) si vede una “ripresina” con crescita del 2% delle vendite (da 54 a 56 milioni) mentre per lo stesso periodo venivano fatti circolare sulla stampa dati di crescita del 34% degli ordinativi….
Potremmo citare molti numeri che non tornano, ma la sostanza è una sola: quel capannone è oggi esuberante le reali necessità produttive dell’azienda, in gran parte resterà vuoto (lo si vede dal progetto), e lo si potrebbe in parte ridisegnare per salvare almeno i reperti archeologici. L’azienda per non spendere una lira in più usa l’argomento della grande urgenza e della necessità di ampliamento della produzione, anche perché il comune si impegna a usare i soldi dei cittadini per contribuire a smantellare il sito e a ricostruirlo fasullo. Voi, che conoscete la verità, vi siete prestati a questa operazione che di sicuro va nell’interesse degli azionisti Hymer ma, ci sembra, non dei vostri.
Perché vi siete prestati a delegittimare le ragioni di chi difende il territorio, diffondendo una immagine falsa e caricaturale delle nostre ragioni? In un comunicato la RSU ha parlato di finanziamenti agli ambientalisti da parte della concorrenza di Laika, in una dichiarazione stampa un dirigente FIOM ha dichiarato che dietro di noi c’è il fantomatico amministratore di una grande azienda milanese con villa in loco, in altro comunicato RSU si parla di “chi per motivi a noi ignoti, si oppone a questo investimento ….” adombrando interessi incoffessabili. Il segretario CGIL regionale ci descrive come coloro che vedono la Toscana come “terra del buon ritiro”, in una sbalorditiva consonanza con la presidente regionale di Confindustria Mansi che parla di “ambientalisti in cachemire”. Possiamo non essere d’accordo, possiamo criticarci, ma noi non ci sogneremmo mai di denigrare o insinuare che dietro le vostre posizioni (che non condividiamo) ci siano interessi segreti o finanziatori occulti. Alcune vostre affermazioni, se fatte dalla Hymer, ci avrebbero portati a querelare (pensiamo con buona possibilità di vincere in tribunale). Voi sapete che noi non avremmo risposto anche ad insulti o illazioni fatte dai lavoratori, perché non siete e non vi consideriamo i nostri nemici. Perché allora usate il prestigio e la dignità del sindacato per colpire noi, associazioni, cittadini, comitati, che lottiamo per la difesa di BENI COMUNI quali il territorio e l’ambiente?
Le ragioni della nostra opposizione sono chiare, scritte in centinaia di volantini e comunicati. Criticatele, discutiamone, ma non fate di noi i ridicoli bersagli di una campagna diffamatoria. La “santa alleanza” che abbiamo visto costruire sul caso Laika vede un abbraccio mortale che, in nome della “CRESCITA”, dello “SVILUPPO”, del “LAVORO”, unisce sindacati, confindustria, poteri locali, partiti di centro sinistra e centro destra; alla base di questa alleanza l’idea che di fronte ad investimenti produttivi sul territorio toscano non debbano esistere invarianti territoriali, beni comuni non negoziabili, beni culturali da tutelare. Si crea ad arte una frattura tra chi difende le ragioni dell’ambiente e chi difende le ragioni dei lavoratori, ed in questo conflitto perdono secondo noi sia i diritti dei lavoratori sia il diritto all’ambiente e alla salute.
Lo scopo di questa lettera non è riaprire polemiche sul passato, mai chiedervi l’apertura di un confronto, che guardi ad un futuro nel quale non esistano più altri “casi Laika” e nel quale sia possibile trovare una unità di intenti per l’edificazione di una economia sostenibile e di società più giusta e solidale
LEGAMBIENTE circolo Il Passignano
Alla RSU LAIKA
Alla FIOM CGIL
Alla CGIL
E p.c. al segretario nazionale FIOM Maurizio Landini
Cari compagni ed amici lavoratori e sindacalisti. Chi vi scrive è il circolo Legambiente Il Passignano; siamo un piccolo gruppo di persone semplici (contadini, artigiani, insegnanti, pensionati) che da oltre 10 anni si è impegnato nel tentativo di impedire e contestare un intervento immobiliare distruttivo da parte della azienda Hymer, proprietaria di Laika caravan: la costruzione di uno stabilimento di 34000 mq, dei quali subito ne vengono edificati 26000, nel fondovalle della Pesa dove da sempre abbiamo chiesto di localizzare un parco territoriale fluviale, in una zona lontana dalla superstrada, senza ferrovie o infrastrutture di collegamento, lontana pure dal distretto della camperistica di Poggibonsi. Il posto sbagliato per uno stabilimento che nessuno contesta ma del quale chiedevamo una localizzazione all’interno di zone industriali in essere, già previste dalla pianificazione locale (a Tavarnelle, o a Barberino, o a Poggibonsi stessa).
Nessun conflitto quindi con i lavoratori, nessuno tra noi ha mai messo in discussione la produzione di camper in quanto tale o la localizzazione nel Chianti di questa azienda.
Abbiamo contestato il fatto che l’azienda, per realizzare un affare immobiliare, abbia comprato su indicazioni degli amministratori locali di San Casciano certi terreni agricoli (nel 2002) con la garanzia che poi sarebbero state rese edificabili (cosa successa due anni più tardi, con la variante del 2004), al di fuori di ogni pianificazione pubblica. Un colossale affare per chi ha venduto terreni agricoli a 23 euro al mq, un prezzo quasi venti volte superiore a quello di un seminativo. Un bell’affare anche per chi ha comprato al valore di un quarto del terreno fabbricabile industriale.
Abbiamo contestato il fatto che la Hymer nel 2000 abbia prima completato la costruzione dello stabilimento LAIKA3, 13000 mq ottenuti dalla precedente proprietà con apposita variante del 1997 dal Comune di Tavarnelle al fine di consentire l’accorpamento degli stabilimenti oggi dispersi, poi lo abbia dichiarato inadatto alla produzione, e successivamente lo abbia messo in vendita per 12 milioni di euro al fine di finanziare l’operazione immobiliare; una truffa ai danni della comunità locale, alla quale anche noi avevamo creduto, appoggiando quella variante a Tavarnelle in nome del diritto alla sicurezza dei lavoratori e accettando il connesso consumo di suolo come un costo necessario.
Dopo tanti anni di vertenze si è arrivati nel 2007 alla variante definitiva e nel 2008 al progetto concessionato dello stabilimento: passati altri tre anni persi dall’azienda (che ha presentato una richiesta di variante alla variante) si avviano nel 2010 i lavori di scavo, che fanno emergere vestigia etrusche e romane. Abbiamo chiesto chiarezza sul valore dei reperti, e abbiamo contestato un accordo siglato tra azienda e Comune in virtù del quale per non cambiare un mattone del progetto (cosa facile e praticabile) si è deciso di smantellare una zona archeologica, ricostruendo CON SOLDI PUBBLICI una finta rovina con le pietre e i muri riassemblati. Questa storia ha prodotto articoli e dibattiti pubblici, che però sembrano destinati a essere spazzati via dalla annunciata firma della Regione del protocollo di intesa con Laika.
Non abbiamo mai contestato il legittimo diritto dei lavoratori di chiedere uno stabilimento salubre e razionale, perché ritenevamo e riteniamo opportuna e necessaria una soluzione alle esigenze di ristrutturazione aziendale che conciliasse tutela del paesaggio e dei beni culturali e sviluppo delle attività economiche.
Però sentiamo la necessità di porvi delle domande:
Perché avete sin dall’inizio rifiutato di incontrare e confrontarvi con noi e le altre associazioni ambientaliste, sposando acriticamente il progetto dell’azienda e rendendo così impossibile l’emergere di alternative al sito? Eppure, se avessimo unito le forze avremmo potuto chiedere all’amministrazione comunale di San Casciano di non accettare supinamente ogni pretesa dell’azienda. Lo stabilimento Laika 3 avrebbe potuto essere usato, sia pur temporaneamente in questi 10 anni, per togliere i lavoratori da capannoni a rischio, con tettoie di amianto. In questi 10 anni un nuovo stabilimento di 22000 mq poteva tranquillamente essere localizzato e costruito, anche riusando volumetrie esistenti. Invece avete accettato la messa in vendita dello stabilimento appena costruito a Tavarnelle, avete accettato di lavorare 10 anni in condizioni di rischio e disagio, addirittura trasformando questo fatto in una imputazione verso chi contestava la variante: invece nei vostri comunicati l’azienda che per risparmiare non rimuove l’amianto e che per far cassa vende uno stabilimento vuoto a norma e salubre non compare mai come controparte o responsabile del vostro disagioi! Il conflitto sulla variante ha prodotto inefficienze, ritardi, dei quali voi per primi avete pagato e pagherete i costi; preventivando realisticamente altri due anni di lavoro per distruggere il sito archeologico e per costruire lo stabilimento, ci saranno voluti 13 anni per realizzare un banale capannone, mentre se insieme avessimo proposto altre strade, la Hymer avrebbe scelto un’altra localizzazione nel Chianti a minore impatto e avrebbe già realizzato e messo in produzione lo stabilimento da anni (certo, rinunciando alla speculazione sui terreni in territorio aperto).
Perché vi siete prestati a diventare la massa di manovra dell’azienda, attaccandoci metodicamente ogni volta che noi provavamo ad interloquire o a contestare le scelte dell’impresa? Quando abbiamo ricorso al TAR il sindacato ha garantito sulla piena liceità dell’intervento, quando abbiamo contestato l’impatto ambientale la RSU ci ha attaccati dichiarando che quell’area è in realtà già degradata e industrializzata, quando abbiamo chiesto di salvare i reperti archeologici il segretario regionale CGIL ci ha risposto che tra gli etruschi e il capannone bisogna scegliere “il futuro”.
Insomma, invece di scontrarci con la società Hymer (che ha sempre tenuto un profilo bassissimo), con i suoi tecnici o i suoi portavoce, trovavamo i vostri striscioni a pavesare le sale comunali quando c’era da mettere in minoranza la critica, trovavamo le vostre interviste e i vostri comunicati che ci dichiaravano NEMICI DEL LAVORO, sia che cercassimo di dibattere sui beni archeologici sia che discutessimo di paesaggio o urbanistica. Di questo totale appiattimento sulle ragioni aziendali è testimonianza ultima un volantino diffuso in tutto il paese a firma “lavoratori Laika” nel quale si legge che gli ambientalisti “…ci hanno attaccato dipingendoci come dei distruttori delle bellezze del Chianti, ricorrendo alla magistratura….” Come se criticare la multinazionale Hymer o ricorrere alla giustizia significasse attaccare i dipendenti!!! Noi non abbiamo mai detto che sono i lavoratori o i sindacati responsabili delle scelte aziendali, purtroppo siete voi che avete stabilito l’equazione
PROFITTO AZIENDA=LAVORO=INTERESSE PUBBLICO.
Una equazione tutta da dimostrare e che temiamo produrrà cemento, distruzione ambientale, poco lavoro e sul lungo termine POCHI DIRITTI DEL LAVORO: prima si attaccano i vincoli ambientali e il diritto della comunità alla bellezza e al paesaggio, ma poi sotto i colpi della crisi le imprese chiederanno di ridiscutere anche i diritti collettivi e individuali dei lavoratori, e se accettiamo l’idea che l’impresa economica e il profitto sono in quanto tali INTERESSE SUPERIORE cadranno anche quelli. Noi crediamo che solo una riconversione ecologica dell’economia offra sul lungo periodo garanzie di giustizia, sostenibilità e occupazione, ma per imporre le necessarie scelte di rinnovamento servirebbe un sindacato che metta in discussione cosa e come si produce, costruendo alleanze con soggetti della società e del mondo della cultura: nel caso Laika, vi siete scelti un ruolo del tutto antitetico.
Perché vi siete prestati a coprire le campagne di propaganda dell’azienda a base di dati ritoccati o fuorvianti? Perché avete accettato di presentare come virtuosa e proiettata nel futuro la società Hymer? L’azienda, fornendo dati incompleti o fuorvianti ha chiaramente cercato di “blindare” le volumetrie ottenute, affermandone la necessità in funzione di future inverosimili espansioni produttive. Questo perché si tratta di un investimento che consentirà di capitalizzare il vantaggio ottenuto con la variante ad hoc, e perché ogni mc di capannone può tradursi in futuro in soldi (come dimostra la storia dello stabilimento mai usato e messo in vendita).
Ma la realtà è un’altra, è quella di una crisi generale del settore dal quale l’impresa ha cercato di uscire facendone pagare il costo in Germania e in Francia a centinaia di lavoratori messi sul lastrico (Eriba francese, dichiarata fallita nel 2010 con 190 dipendenti). Laika ha fatto ricorso al lavoro precario per rispondere ai picchi produttivi del (28 interinali nel 2008) proprio perché nelle valutazioni dei loro analisti si preventiva una fase non passeggera di stabilizzazione dei mercati, e il nuovo stabilimento non casualmente è “solo” di 26000 mq, a fronte di 34000 previsti dalla variante. Il dimensionamento del progetto (servizi, logistica, etc.) è dichiarato da Laika per 210 addetti complessivi alla produzione (compreso magazzino), meno di quanti ne ha avuti nel recente passato. La stessa crisi di vendite e produzione è stata nascosta, schermata, alla pari del calo degli addetti totali dai 270 del 2008 ai 196 del 2009, ai 189 del 2010. Si sono gonfiate le cifre, dichiarando un indotto inverosimile: 100-150 addetti dell’indotto nel 2004 dichiarati da Laika all’atto di richiesta della Variante (86 milioni di produzione), diventati 450 nel 2007 (95 milioni di produzione), cresciuti a 800 e 1000 oggi nelle dichiarazioni di amministratori e sindacato (70 milioni di produzione dichiarati, da verificare): si decuplica l’indotto a fronte di un calo della produzione!!! Nel bilancio 2010 (ultimo verificabile) si vede una “ripresina” con crescita del 2% delle vendite (da 54 a 56 milioni) mentre per lo stesso periodo venivano fatti circolare sulla stampa dati di crescita del 34% degli ordinativi….
Potremmo citare molti numeri che non tornano, ma la sostanza è una sola: quel capannone è oggi esuberante le reali necessità produttive dell’azienda, in gran parte resterà vuoto (lo si vede dal progetto), e lo si potrebbe in parte ridisegnare per salvare almeno i reperti archeologici. L’azienda per non spendere una lira in più usa l’argomento della grande urgenza e della necessità di ampliamento della produzione, anche perché il comune si impegna a usare i soldi dei cittadini per contribuire a smantellare il sito e a ricostruirlo fasullo. Voi, che conoscete la verità, vi siete prestati a questa operazione che di sicuro va nell’interesse degli azionisti Hymer ma, ci sembra, non dei vostri.
Perché vi siete prestati a delegittimare le ragioni di chi difende il territorio, diffondendo una immagine falsa e caricaturale delle nostre ragioni? In un comunicato la RSU ha parlato di finanziamenti agli ambientalisti da parte della concorrenza di Laika, in una dichiarazione stampa un dirigente FIOM ha dichiarato che dietro di noi c’è il fantomatico amministratore di una grande azienda milanese con villa in loco, in altro comunicato RSU si parla di “chi per motivi a noi ignoti, si oppone a questo investimento ….” adombrando interessi incoffessabili. Il segretario CGIL regionale ci descrive come coloro che vedono la Toscana come “terra del buon ritiro”, in una sbalorditiva consonanza con la presidente regionale di Confindustria Mansi che parla di “ambientalisti in cachemire”. Possiamo non essere d’accordo, possiamo criticarci, ma noi non ci sogneremmo mai di denigrare o insinuare che dietro le vostre posizioni (che non condividiamo) ci siano interessi segreti o finanziatori occulti. Alcune vostre affermazioni, se fatte dalla Hymer, ci avrebbero portati a querelare (pensiamo con buona possibilità di vincere in tribunale). Voi sapete che noi non avremmo risposto anche ad insulti o illazioni fatte dai lavoratori, perché non siete e non vi consideriamo i nostri nemici. Perché allora usate il prestigio e la dignità del sindacato per colpire noi, associazioni, cittadini, comitati, che lottiamo per la difesa di BENI COMUNI quali il territorio e l’ambiente?
Le ragioni della nostra opposizione sono chiare, scritte in centinaia di volantini e comunicati. Criticatele, discutiamone, ma non fate di noi i ridicoli bersagli di una campagna diffamatoria. La “santa alleanza” che abbiamo visto costruire sul caso Laika vede un abbraccio mortale che, in nome della “CRESCITA”, dello “SVILUPPO”, del “LAVORO”, unisce sindacati, confindustria, poteri locali, partiti di centro sinistra e centro destra; alla base di questa alleanza l’idea che di fronte ad investimenti produttivi sul territorio toscano non debbano esistere invarianti territoriali, beni comuni non negoziabili, beni culturali da tutelare. Si crea ad arte una frattura tra chi difende le ragioni dell’ambiente e chi difende le ragioni dei lavoratori, ed in questo conflitto perdono secondo noi sia i diritti dei lavoratori sia il diritto all’ambiente e alla salute.
Lo scopo di questa lettera non è riaprire polemiche sul passato, mai chiedervi l’apertura di un confronto, che guardi ad un futuro nel quale non esistano più altri “casi Laika” e nel quale sia possibile trovare una unità di intenti per l’edificazione di una economia sostenibile e di società più giusta e solidale
LEGAMBIENTE circolo Il Passignano
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